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L’Italia e l’ansia del calciomercato: si è speso poco (20 milioni), ma la differenza sta nei progetti

Napoli è solo uno specchio della cultura italiana del calciomercato: i soldi investiti in calciatori, però, non rappresentano un investimento certo per certi risultati.

L’Italia e l’ansia del calciomercato: si è speso poco (20 milioni), ma la differenza sta nei progetti

Confronto

Napoli è parte dell’Italia, ma proprio dal punto di vista culturale. Anzi, possiamo dire di più: Napoli è la massima rappresentazione dell’Italia, condensa in sé il meglio e il peggio dell’italianità. Inquadriamo questo tema in rapporto al calcio e al calciomercato, l’equazione è la seguente:_ una squadra in testa alla classifica non spende sul mercato (male, malissimo), allora tutta la società è “ridicola, da buttare”. Quando poi il Napoli (e solo il Napoli), a differenza delle altre squadre, era davvero disposta a spendere. Fino a quasi 30 milioni per Politano, almeno secondo la narrazione delle ultime ore di mercato.

Detto questo, torniamo al punto. Il Napoli non ha chiuso operazioni in entrata, va ovviamente giudicato in relazione a questa scelta e in base ai risultati che metterà insieme da qui a fine anno. Di certo, non esce bene da questa sessione. Come abbiamo scritto più e più volte. Ma è un “problema” di tutta la Serie A: per i club dal primo al quinto posto, le operazioni in entrata concluse sono state Caceres, Lisandro Lopez, Rafinha, Jonathan Silva. Tre prestiti con obbligo/diritto di riscatto e un riscatto da un prestito (Caceres dal Verona alla Lazio). Tutti i giornali hanno parlato dei dati “allarmanti” del nostro calcio, della crisi economica che lo sta investendo. Vero, se guardiamo solo ai dati economici. I 20 milioni investiti dalla Serie A impallidiscono rispetto ai 470 della Premier. Ai 160 che il solo Barcellona ha investito per il solo Coutinho.

Confronto inutile

Noi del Napolista, al di là del caso-Napoli, siamo però abituati a pensare al (e del) calcio in un certo modo. Senza farci travolgere dal “sentimento-Milan”, ovvero quella specie di morbo per cui una squadra che investe tanto sul calciomercato diventa immediatamente “forte”. Per non dire “da scudetto”. E merita ampiamente di essere sostenuta. Per dire: noi siamo molto più ammirati della gestione dell’Inter, che sta provando a costruire una solidità che duri nel tempo (e che quindi richiede tempo) piuttosto che al progetto di Li Yonghong tra Milanello e dintorni. Crediamo che il calcio si faccia così, con un progetto a lungo termine, piuttosto che con improvvisate campagne di rafforzamento dall’impatto mediatico forte, ma incerto sul campo.

Anche per questo il confronto con la Premier, dal punto di vista puramente economico, è inutile. Per spiegarci, utilizziamo due dati facilmente rintracciabili su internet: la differenza degli incassi tv tra Atalanta ed Everton e il risultato sul campo della doppia sfida tra Atalanta ed Everton in Europa League. Le cifre: 160 milioni di euro (stagione 2016/2017) per i Tooffes, circa 34 milioni (stesso arco temporale) per gli orobici; nel girone eliminatorio, doppia vittoria della squadra di Gasperini (3-0 e 1-5). Ah, e ovviamente il mercato: tra sessione estiva e sessione invernale, il club di Liverpool ha investito 202 milioni di euro incassandone 124; l’Atalanta ne ha spesi 48 e ne ha incassati 43. 

Oltre le cifre

Insomma, l’ossessione italiana per il calciomercato – per una certa lettura del calciomercato – continua a essere immotivata nella sostanza. In questo senso, facciamo nostro il pensiero di Giovanni Armanini, di Calcio&Finanza. Proprio ieri, Armanini ha pubblicato un articolo in cui spiegava questa differenza di visione: «Ci si preoccupa del fatto che si sia speso poco, ma i bilanci di mercato andrebbero fatti a fine campionato, non a fine mercato quando vince sempre chi spende di più, anche se poi i risultati non dicono lo stesso. Tutti continuano a parlare dei club come se fossimo ancora al tempo del mecenatismo. Un sistema che, oltre ad essere poco auspicabile è ormai pure poco tollerato (dal FFP)».

E non solo: « Bisognerà anche iniziare a capire che se hai i soldi della Premier non è detto che li spenderai bene. I Vampeta, gli Esnaider e i Roberto Sosa sono sempre dietro l’angolo. E alla fine anche se la dodicesima di Premier spenderà come la seconda italiana o anche di più, la squadra inglese sarà comunque inferiore rispetto all’italiana. Perchè alla fine a livellare tutto è il fatto che fai 38 partite nel tuo campionato e se ne vinci 25 all’anno sei più forte di uno che ha speso 10 volte te ma ne ha vinte 15. Basta dare un’occhiata alla Money League parametrata sul ranking Uefa: il valore dei ricavi quasi mai riflette il valore europeo dei risultati di una squadra». Qui c’è il pezzo di Armanini, che spiega in maniera analitica quello che noi abbiamo scritto appena sopra.

Il Napoli ha sbagliato a non acquistare un esterno d’attacco? Certo, è un azzardo. Che va verificato. Il Napoli ha sbagliato a non spendere? Perderà lo scudetto perché “non ha investito sul mercato”? Non è detto. È proprio questo il punto. Ed è un problema tutto nostro, da napoletani e da italiani.

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