La vittoria del premio come “Allenatore dell’Anno” celebra l’upgrade continuo del tecnico del Napoli, della sua squadra in campo e della sua comunicazione.
La bacheca vuota
Vogliamo parlare della vittoria di Sarri, ieri sera, al Gran Galà dell’Assocalciatori. Il tecnico del Napoli è stato votato dai giocatori italiani come allenatore dell’anno, ma non vogliamo ricadere nel solito discorso del premio all’allenatore che non ha vinto niente. Altrimenti, il premio sarebbe “all’allenatore più vincente”. È una differenza etimologica non da poco, ieri sera gli addetti ai lavori (più che mai, in questo caso) hanno scelto di premiare “il migliore”. E hanno votato per Sarri.
Noi crediamo (vogliamo credere) che il parametro utilizzato sia quello dell’autoperfezionamento, del miglioramento, del lavoro. Su sé stessi, sulla squadra, che poi è la stessa cosa se il tuo mestiere è l’allenatore. Ecco, Sarri è riuscito a migliorarsi lungo questi due anni e cinque mesi al Napoli. Ha modellato le sue idee tattiche intorno ai calciatori a disposizione (non si tratta solo del 4-3-3, quella è solo una conseguenza), poi ha costruito mattone su mattone una consapevolezza rispetto alla propria forza. Ha risposto agli “incidenti” (il mercato, gli infortuni ecc.), così come ha impiegato decisamente più tempo del dovuto a metabolizzare la cessione di Higuain. Ma ora è arrivato al punto di poter/dover concretizzare il tutto. Nel frattempo, ha smussato alcuni angoli caratteriali, dialettici, ha insistito sulla crescita comunicativa e sulla limitazione di un personaggio che lo tiene prigioniero. Che è più presente nei racconti di Sarri piuttosto che nello stesso Sarri, in realtà.
L’ultimo riconoscimento
Quando Sarri ha vinto la Panchina d’Oro, era marzo 2017, noi gli dedicammo queste parole:
La celebrazione del Sarri tecnico può essere assoluta, completa. Poi ci sono i gusti, nel senso che qualcuno apprezzerà o può apprezzare un gioco diverso, più speculativo, più tendente alla ricerca del risultato. Però, i risultati e il criterio estetico di cui sopra dicono che il tecnico Sarri, per l’appunto, resta meritevole di un riconoscimento tanto importante. Diversamente si può dire del Sarri comunicatore. Che diventa fondamentale quando il livello è così alto. Per chi scrive, il tecnico del Napoli è perfetto fin quando si parla di calcio. Il campo è il suo campo, per utilizzare una ripetizione suggestiva.
Ecco, anche questa cosa è cambiata. In meglio. Sarri, almeno dal nostro punto di vista, è cresciuto e migliorato nella gestione mediatica del suo lavoro. Le condizioni del campo da gioco, il calendario, le nazionali: tutti punti del suo discorso calcistico. Esistono ancora, ma il punto non era quello. Non è quello. Parliamo della gestione delle pressioni, della lucidità rispetto alla situazione del Napoli, delle parole che quest’ambiente vuole sentirsi dire ma di cui non ha bisogno.
Che ci piaccia o meno, la comunicazione è anche paraculaggine. Ecco, Sarri sta imparando anche a fare il paraculo. Non essendolo, lo sappiamo bene – e magari lo apprezziamo pure. Ma torniamo al discorso di sopra: cosa vogliamo sentirci dire rispetto a quello che abbiamo bisogno di sentire. Per crescere.
Napoli-Juventus
La settimana di Napoli-Juventus è un perfetto caso narrativo. Finora Sarri ha parlato della partita (e degli avversari) con toni molto diversi rispetto al passato. Non c’è più «un popolo dietro di noi», come due anni fa alla vigilia della sfida di Torino. Stavolta siamo a «Non sarà una partita decisiva», oppure «Non corriamo il rischio di presentarci demotivati contro la Juventus, anche se i tre punti possono dire poco sulla classifica». Sono parole molto diverse da «dobbiamo aspettare il logoramento della Juventus per vincere», anche se il tecnico non ha mai negato, giustamente, la superiorità della Juventus.
Ecco, noi crediamo che la vittoria di ieri sera sia il premio meritato a un uomo-allenatore che sta compiendo lo stesso percorso della sua squadra. Crescita, potenziamento tecnico e poi mentale, comprensione della propria forza, acquisizione della consapevolezza. Partire da molto dietro (sia il Napoli che Sarri sono partiti dalle serie minori), arrivare molto in alto. Fino a provare a vincere, a credere di poterlo fare sul serio. Dai riconoscimenti individuali alla bacheca vera, così magari finiscono i soliti discorsi sull’allenatore che non ha vinto niente.