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La stagione altalenante di Jorginho che però è ancora indispensabile al Napoli

Le biografie stagionali: l’annata di Jorginho è una parabola, l’inizio, il crollo e la risalita. Ma il gioco del Napoli è perfetto per lui (e viceversa).

La stagione altalenante di Jorginho che però è ancora indispensabile al Napoli

Jorge e Amadou

Il primo giugno dell’anno scorso, il Napolista scriveva così: «Jorginho necessita di un’alternativa al suo gioco. Potrebbe (dovrebbe?) forse cercare di ampliare il ventaglio di soluzioni personali. Qualcosa che vada al di là del pur importante appoggio in avanti o laterale per aprire un fronte offensivo. Una verticalizzazione in più, magari. Qualcosa anche di più rischioso, a scavalcare il pressing avversario o a fornire una soluzione diversa ai giocatori offensivi del Napoli».

Il Napoli ha aiutato Jorginho a trovare alternative al suo gioco, perché una cosa è avere Higuain e un’altra è avere Milik oppure Mertens. Anzi, diciamola ancora meglio: una cosa è avere un centravanti di riferimento come l’argentino oppure (in misura minore, ovviamente) il polacco, e un’altra è appoggiarsi su una punta dinamica, sgusciante e scattante su tutte le direttrici, verticali e orizzontali, come Mertens. Quindi Jorginho ha saputo/potuto trovare giocate diverse perché erano cambiati i compagni da servire. Ricordiamo il lancio lungo per Insigne contro il Crotone, splendido, o il meraviglioso tocco in verticale a trovare Mertens a tu per tu con Karnezis, era Napoli-Udinese.

L’altra soluzione trovata dal Napoli è stata affiancare a Jorginho un concorrente con caratteristiche diverse. Amadou Diawara ha saputo interpretare perfettamente il ruolo di vice e di co-titolare e di calciatore alternativo. Se ripercorriamo con la mente i momenti della stagione, ci accorgiamo che il guineano ha permesso a Jorginho di riposare e assorbire ogni piccolo grande cambio tattico del Napoli. Tre partite dopo l’infortunio di Milik, ha iniziato a giocare; dopo, mentre il Napoli si adattava a Mertens, si è alternato con l’italobrasiliano. Che ha studiato la sua nuova squadra, poi l’ha imparata e se l’è ripresa. Perché Sarri non può rinunciare a Jorginho, anche se magari a volte non lo schiera titolare.

I dati

3.043′ contro 2.476′. I minuti in stagione, 2015/2016 contro 2016/2017, sono la testimonianza numerica dei concetti espressi sopra. Jorginho si è alternato con Diawara ma è rimasto prima scelta, nell’ottica di un rafforzamento organico del Napoli portata avanti fin dall’istante dell’addio di Higuain. Da qui si parte e si arriva a dati di gioco similari, perché Jorginho è sempre Jorginho: 109 palloni giocati in media per match, di gran lunga la quota più alta dell’intera Serie A. Una percentuale di accuratezza dei passaggi del 91%, nessuno come lui in tutto il campionato tra i calciatori che hanno giocato più di 25 partite.

Jorginho continua a essere questo e soprattutto questo: regia semplice ed elementare, che non sono aggettivi di “riduzione” ma anzi elevano il gioco a uno stato superiore. Perché, frase di Johan Cruijff, «il calcio è il gioco più semplice del mondo, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile». Jorginho fa proprio questo: semplifica, dirige, gestisce il possesso. Tocchi brevi (15 metri, solo Mertens tra i titolari scende sotto questa cifra), rapidi, che servono ad aprire fronti di gioco.

Il resto è un contributo difensivo che resta importante (74 eventi totali), soprattutto se si guarda agli intercetti: 52 in 27 partite giocate. Più altri 11 in Champions League. È la prova che l’italobrasiliano legge il gioco, in entrambe le direzioni. Anche per questo Sarri l’ha eletto a indispensabile per sé, per il Napoli. In avanti, 38 occasioni create: 35 key passes e 3 assist decisivi. I due di cui abbiamo scritto sopra, contro Crotone e Udinese. E quello a Tonelli, per il colpo di testa che ha aperto le marcature in occasione di Napoli-Pescara. Ma quello per Insigne è poesia.

Le prospettive

Andrebbe tutto benissimo così. La stagione di Jorginho è stata altalenante, ma poi si è rimessa sui binari giusti col tempo giusto. Alla fine, diciamo dall’eliminazione con il Real in poi, con un Napoli ormai definitivo dal punto di vista tattico, Jorginho ha percorso la seconda parte della parabola. Partenza positiva, un down (coincidente con il clamoroso errore in Napoli-Besiktas) e poi la risalita.

Andrebbe tutto benissimo così qualora il Napoli, nella prossima stagione, ripartisse dalla quadra trovata al termine di questa annata. Con questo Jorginho a dirigere le operazioni, utile nelle sue caratteristiche e pure leggermente più vario rispetto al passato. Poi c’è Diawara, per un’alternanza tra le più qualitative dell’intero campionato. Con il guineano in campo quando serve qualcosa di più dal punto di vista dell’interdizione pura, magari. Il Napoli che cresce passa anche, se non soprattutto, da sostituti e alternative all’altezza.

Rispetto all’anno scorso, c’è la sensazione di aver avuto a che fare con il miglior regista del campionato è più tenue. C’era l’Europeo di Conte, ci chiedevamo perché Jorginho non fosse stato convocato. Ora ci sembra più che sia il Napoli, solo il sistema Napoli, ad aver bisogno di un calciatore così. Jorginho è una peculiarità del Napoli e il Napoli è l’habitat possibile di Jorginho. La pensa così anche Sarri, che nell’ottica di preservazione dell’organico di quest’anno ha deciso di porre il veto alla cessione dell’italobrasiliano. Si è parlato, in maniera sotterranea, di Paris Saint-Germain. Le prospettive reali raccontano una permanenza inevitabile a Napoli, per ripartire da dove ci siamo fermati. Da un calciatore che ha saputo recuperare le proprie misure dopo un periodo di appannamento e ha dimostrato la sua imprescindibilità. Circoscritta a un solo gioco, a un solo sistema. Ma sempre imprescindibile.

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