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Maurizio il freddo, Aurelio il caldo: le due conferenze a confronto

La razionalità di Sarri mentre De Laurentiis e Insigne raccontano un’altra emotività: non è una critica, ma la certificazione di un atteggiamento diverso.

Maurizio il freddo, Aurelio il caldo: le due conferenze a confronto

Conferenza fredda

Se Marshall McLuhan divideva i media in caldi e freddi, oggi a Castel Volturno abbiamo assistito nella divisione delle conferenze. Prima quella di Insigne e De Laurentiis, ovviamente calda. Poi quella di Maurizio Sarri, (ancora più ovviamente) fredda. Non siamo qui per capire quale delle due sia fuori luogo o sbagliata, quale atteggiamento sia da condannare a prescindere. Neanche vogliamo fare una critica al tecnico che non ha fatto altro che ribadire i concetti di sempre. Probabilmente, lo ripetiamo, è stata tutta una questione di freddezza. Anzi, di razionalità al termine di un evento, quello immediatamente precedente, in cui i segnali erano stati di altro tipo. Più eterei, forse. Ma anche più vicini a quello che i tifosi vorrebbero sentire in momenti come questi. Comunicazione calda e fredda, appunto.

Le parole di Sarri

La doccia di Sarri è diventata “fredda” (toh) quando ha parlato del suo contratto. O meglio, della percezione che lui stesso ha del suo legame contrattuale con il Napoli. Non una cosa a lungo termine, almeno non per il momento. E la motivazione di questa “freddezza” (ancora) sarebbe legata all’ormai atavica differenza di vedute generali con De Laurentiis. Una precisazione che, attenzione, non pregiudica per forza o pregiudicherebbe ancor di più la loro convivenza. Aurelio e Maurizio, in questo caso li chiamiamo per nome proprio per sottolineare la connotazione personale di questo ragionamento, hanno due personalità che devono per forza entrare in conflitto. Viene quasi da dire che questo conflitto sia necessario affinché il Napoli funzioni. Ma questa, ovviamente, è una forzatura.

Il discorso di Sarri è stato chiaro, lineare, anche facilmente interpretabile: se devo pensare solo al mio ciclo certo, il mio triennio, non posso che essere contento del rinnovo di Insigne. Se invece devo pensare a una crescita strutturata di una società che ha il quinto fatturato d’Italia, ci sono da sistemare tante altre cose. Tutto vero. Tutto troppo vero. Non è una colpa, attenzione. È una verità sostanziale, che però finisce quasi per cozzare con i proclami di cui De Laurentiis e Insigne, pochi minuti prima, si erano fatti portavoce. Nessuna promessa di scudetti e coppe di campioni, una roba tra le righe che però era assoluta fiducia nelle possibilità del progetto. Fino ai massimi risultati.

Maurizio Benitez

Il discorso di Sarri non è tanto lontano da quelli di Rafa Benitez sul business plan. «Il quinto fatturato in Italia non può programmare uno scudetto» sta nella stessa frase di «bisogna aumentare il fatturato». Che è, semplicemente, la traduzione in italiano del concetto espresso a suo tempo dall’attuale manager del Newcastle – che nel suo biennio a Napoli ebbe a che fare con un organico di qualità inferiore. Né più, né meno. È razionalità, conoscenza del sé e dei rapporti di forza. Che possono essere ribaltati in campo, attraverso «la ricerca dell’evento» (sempre cit. Sarri), ma che comunque creano e tengono costanti le distanze.

Timing

Sorprende, però, il timing di queste dichiarazioni. Tutte vere, tutte giuste, per carità. Lo ripetiamo ancora: Sarri non ha detto nulla di sbagliato o che non avesse già in qualche modo espresso. L’unica novità sta nel discorso del contratto, la prima esposizione vera sulla durata del suo accordo con il Napoli. La particolarità, però, è che tutti questi discorsi siano arrivati pochi minuti dopo un rinnovo che lo stesso Sarri aveva posto come condizione necessaria al “suo ciclo”. Pochi minuti dopo un vero e proprio abbraccio di quel sogno romantico di cui lo stesso Sarri, con il lavoro sul campo, è protagonista assoluto. Un tempismo che non ha convinto.

Potrebbe essere tutto preparato, un giochino simpatico come quello dello sbirro buono e dello sbirro cattivo. Roba da film. Da una parte l’angioletto che ti conduce sulla retta via, dall’altra il diavoletto che ti porta a esagerare. Le dinamiche comunicative del calcio Napoli, però, non è che siano storicamente vicine a una definizione “preparatoria” e “preparata” di questo tipo. Anzi, molto spesso le dichiarazioni dei tesserati e dei dirigenti viaggiano su binari completamente diversi, per contenuto e intensità. Ecco, oggi è avvenuto di nuovo questo.

Positività e positivismo

Come detto, quest’analisi si ferma alla conferenza odierna di Sarri e al legame con quella andata in scena pochi minuti prima, con Insigne, De Laurentiis e un contratto appena firmato. Non vuole essere campanello d’allarme o fonte di critica, è semplicemente un commento a quello che abbiamo visto. Nulla di diverso, forse, rispetto al solito. Qualcosa di un po’ strano, non sgradevole ma particolare, in rapporto all’atmosfera di futuro che si respirava oggi a Castel Volturno.

Che non ha trovato riscontro nelle parole di Sarri, se non quelle sull’evento dello scudetto, sul dovere di provare a credere nei margini che ci sono oltre la Juventus. L’atteggiamento giusto, che però è limitato nel tempo di un contratto. Per il bene del club, ma all’interno di un contratto. Un approccio professionistico e professionale, e che vuole il bene del Napoli. Senza dubbio. Ma che oggi, magari, poteva essere accompagnato da un’emotività diversa, più positiva. È lo stesso concetto che esprimemmo nel giorno della consegna della panchina d’oro a Sarri:

Il destinatario della comunicazione di un allenatore è l’ambiente che ruota attorno al Napoli. Stampa, in primis. Quindi opinione pubblica. Tifosi, appassionati. Il pubblico, in senso assoluto e totale. Ecco, alcune dichiarazioni non rendono giustizia al lavoro di Sarri sul campo. Perché se tu, Maurizio, alleni una squadra perché sia forte e dominante e poi dici «bisogna aspettare solo il logoramento della Juventus per vincere» (parole di oggi), non sei del tutto coerente.

Nel senso: dici una cosa realistica, non troppo lontana dalla verità. Ma non aiuti a crescere, almeno dal punto di vista della ricettività del calcio. Non comunichi o stesso messaggio che dai attraverso il campo. Magari lo fai per alleggerire le pressioni, nessuno mette in dubbio la buona fede. Ma, ripetiamo: la squadra non ti legge, non ti sente, non viene influenzata dalle tue parole. L’ambiente sì. E questo ambiente vuole sentirsi dire questo. Ma non ne ha bisogno, perché passare da uno a nove è stato fatto. Bisogna passare da nove a dieci, e di mezzo ci sta pure una certa comunicazione.

Il futuro

È tutto qui, ancora, di nuovo. Chi scrive oggi scrisse anche allora, e allora copincolliamo anche la frase successiva. Che non cambia:

Chi scrive è un sarrista dalla prima ora. Ha intervistato la pagina Sarrismo – Gioia e Rivoluzione, ha voluto farlo. Ha applaudito il Sarri istruttore di calcio, anche in conferenza stampa. Insomma, gli vuole bene. E lo critica, per questa piccola/grande mancanza, proprio in nome di questo amore incondizionato. Che nasce dal campo, e che vive sul campo. Perché sono anch’io come lui, penso al campo. Però poi mi rendo conto che arrivati a un certo punto, non proprio tutto si può risolvere col campo. […] Il giorno in cui se ne accorgerà anche Maurizio sarà un giorno bellissimo, e decisivo. Dovesse succedere mentre è ancora a Napoli, e il Napoli sarà ancora così forte, sarà fatto un ulteriore passo verso lo scudetto. Forse, quello decisivo.

C’è anche quella parte di comunicazione che oggi ha finito per influenzare noi, che ci ha portato ad analizzare il rapporto.  In un giorno che è stato di festa, a tutti gli effetti. E che si è concluso con De Laurentiis che parla di centro sportivo, di stadio, di crescita a lungo termine. Quello che gli ha chiesto il suo allenatore, anche oggi – sbagliando forse il timing. Può darsi che anche per lui, il presidente, sia arrivato un giorno decisivo. Sarebbe bello facessero insieme questo ultimo passo.

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