Anche ieri sera, le due facce di un calciatore completo: decisivo sotto porta, fondamentale nella costruzione del gioco. Riflettiamo sulla sua dimensione.
Un argomento che si rinnova, non si estingue
Abbiamo scritto tanto, negli ultimi tempi, su Lorenzo Insigne. Tanto eppure poco, basta guardare Lazio-Napoli. Una partita che descrive perfettamente ciò che il ragazzo di Frattamaggiore è diventato: da una parte i gol, il contributo sotto porta, quello che una volta definiva Insigne e la sua prestazione. E poi c’è tutto il resto, che è una roba di dimensioni enormi per il Napoli. Di importanza capitale, per Sarri, il suo gioco, i compagni di Insigne. Ne abbiamo scritto giusto un po’ nella nostra analisi tattica, un dato su tutti: 124 palloni giocati, con una percentuale di precisione superiore al 91,5%. A questo, ci aggiungiamo 4 conclusioni verso la porta. E un salvataggio sulla linea, che fa volume ma non differenza rispetto al solito. Da Benitez in poi
Insomma, oggi ci sono due Insigne paralleli e contemporaneamente decisivi. Il primo è quello che fa gol, perché si trova nel posto giusto al momento giusto – può anche sbagliare, come al 45esimo su tocco di Mertens: Ha anche concluso bene, il vezzo del tiraggiro ripetuto come un mantra stavolta l’ha tradito un po’. E poi c’è l’Insigne che cuce il gioco, che fa da collegamento sulla fascia più usata dal Napoli. Che si muove lungo tutto il fronte e interpreta la posizione di esterno secondo un taglio moderno, che aiuta tantissimo Mertens e avrebbe aiutato Milik a non mettersi sulle spalle l’intera eredità di Higuain. Sotto, la heatmap di Lorenzo riferita a ieri sera. È un inno alla partecipazione.
Tutte queste cose le avevamo già scritte, in qualche modo e in tanti pezzi. Ma Insigne è un argomento che si rinnova, perché ogni volta fa sempre meglio. Ed è sempre bello, anche se quasi non ci sorprende più.
Il discorso sulla dimensione
I gol in campionato sono 14, 16 in tutte le competizioni (uno in Champions e uno in Coppa Italia). Insigne ha battuto il suo record stagionale, è in crescita costante. Tre settimane fa, dopo Napoli-Crotone, Alfonso Fasano ha dedicato un lungo pezzo al tema del suo rinnovo, snocciolando le motivazioni per cui un nuovo contratto era meritato, oltreché imprescindibile per costruire bene un Napoli rinnovato sul progetto di quest’anno. Ventuno giorni fa, e si scriveva così:
Quando l’avversario diventa importante, e quindi cresce anche la posta in palio. Poi, cosa non meno significativa, ha imparato a essere efficace e quindi decisivo sempre, anche in momenti dove l’estetica della giocata conta poco o comunque è un fattore secondario. I quattro gol a Crotone ed Empoli, le reti realizzate in trasferta a Bologna e Udine, le splendide prestazioni sparse ci dicono che Insigne, oggi, riesce a essere continuo.
Ecco, è passato poco tempo ma abbiamo la conferma, la sottoscrizione e il timbro Dop sotto queste parole. Tanto da non riuscire più a collocare Insigne, in maniera certa, in una mappa del talento calcistico. A che livello è Lorenzo? Blocchiamo il fatto che Napoli pare essere la sua scelta, Insigne fin dove non sfigurerebbe. Su queste pagine, in estate, si ironizzò su un possibile passaggio al Barcellona. Ecco, forse quello è ancora troppo. Ma solo perché c’è un tridente di mostri, ma mostri sul serio. Un Chelsea, un Manchester City, un Psg: sarebbero troppo? Ecco, forse fino a questa estate sì. Ora non sappiamo più rispondervi. Siamo incerti. Più propensi a dire che sarebbe una dimensione adatta a lui, piuttosto che l’insicurezza a cui Lorenzo ci ha abituato con la sua intermittenza storica. Un lontano ricordo.
Maturità
A quasi 26 anni, Insigne è arrivato nel pieno della carriera. L’ha detto anche Sarri, ieri sera e negli ultimi tempi. Lo vedi nelle prestazioni, lo leggi nelle giocate: oggi, Insigne, è un calciatore maturo. E maturo, nel suo caso, vuol dire sicurezza. Quella indotta, da una concorrenza che è sparita e che con il trasloco di Mertens al centro dell’attacco ha finito di alitargli sul collo. Quella riscoperta in sé, come centro di gravità tecnico di una squadra che va sempre da lui per cercare la giocata. Che, rispetto al passato, non è più tanto sinonimo di colpo a effetto. No, Insigne oggi è un calciatore prima di tutto utile. Efficace, efficiente in un sistema di gioco. Il bello viene dopo. C’è, eccome. Ma è secondario. Il discorso di prima, Insigne che segna e Insigne che gioca. Due entità, un solo calciatore. Un solo grande calciatore.
Forse è questo, insieme al comportamento impeccabile fuori e intorno al campo, a segnalare che ci siamo. Che la maturità è finalmente giunta, che l’Italia del pallone può conoscere e riconoscere uno dei suoi talenti più fulgidi. Abbiamo scritto anche di questo: costruire la nazionale intorno a Insigne, che ci terrebbe da morire, è una cosa che non sembra non poter essere nella testa dei ct. Più passa il tempo, più vediamo Insigne giocare, e più ci pare un peccato. Ma non da tifosi del Napoli, quanto da obiettivi analisti del pallone. Questo è forte forte.
Gioca titolare con Ventura, ma non è esaltato nel ruolo disegnatogli addosso da Benitez e rifinito da Sarri. L’Italia non gioca con un tridente Insigne-Belotti-Bernardeschi, e sinceramente noi non capiamo perché no. Il perché sì l’abbiamo visto ieri sera. E nelle 30 partite precedenti, giocate tutte da titolare giocate da Lorenzo. Che non si ferma mai. E non si ferma più.
Sarri
Il tecnico azzurro, ieri sera, ha letteralmente chiesto alla società di trattenere Insigne. Rimandi continui alla bandiera, alla voglia di continuare questo progetto. Questo progresso. Lo sa, lo vede. Insigne, una sua mezza creatura (l’altra metà appartiene indissolubilmente a Benitez, il primo a credere davvero che Lorenzo potesse essere utile in un contesto di squadra organico), sta diventando grande davvero. Roba incontenibile, per la nostra Serie A. Ecco, ha detto una bella cosa. Per il contenuto in senso poetico e romantico, ma anche per il significato tecnico.
Il Napoli che ha perso Higuain, e che ha trovato Milik e poi Mertens, non prescinde da Insigne. Il Napoli di Sarri, almeno. Esattamente come quello di Benitez, che prese a deragliare proprio sui binari storti di un infortunio maledetto al 24. E allora si parlava solo di un 23enne incostante, spesso borioso, sovente egoista. Oggi si parla di un quasi 26enne fatto e finito. Un calciatore completo, e compiuto. Il miglior punto di partenza possibile.