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In difesa di Marek Hamsik

Una critica esasperata ed estrema per un semplice errore di gioco, nella cornice di una prestazione da dimenticare. Ma Hamsik resta sempre Hamsik.

In difesa di Marek Hamsik

L’errore di tutti

Scrivere di Hamsik è doveroso. Oggi, soprattutto oggi. Dopo che a Sassuolo, pure se il calcio non si fa con i periodi ipotetici, una sua giocata ha compromesso una partita che poteva essere archiviata facilmente. Un colpo di testa all’indietro, un alleggerimento verso Reina. Un errore, semplicemente. Nulla di più, nulla di meno. Succede a tutti, è successo a tutti. Per dire: Diego Maradona ha sbagliato un calcio di rigore decisivo ai 32esimi di finale della sua prima Coppa Uefa in maglia Napoli. Non vogliamo paragonare i due, ci mancherebbe, ma era per dimostrare che capita a tutti. Che può capitare a tutti. Anzi, che è capitato proprio a tutti.

Eppure, noi oggi non discutiamo Maradona. Quando ne parliamo, non ricordiamo quel calcio di rigore sbagliato. Ricordiamo i gol magnifici, le vittorie, la leadership. Ecco: trasliamo il discorso su Hamsik. Che non ha dalla sua gli stessi successi e le stesse vittorie, ok. Ma che comunque potrebbe aver accumulato un certo credito perché un errore non lo faccia bollare come un brocco, un calciatore senza personalità, e via via tutte le amenità che leggiamo da circa 24 ore. Roba che non sta in cielo e non sta in terra.

Criticare Hamsik

Non è una questione del numero di gol, o di quell’appartenenza (dimostrata, verificata) che nel 2017 appartiene al cassetto “cose retrò dell’esistenza e della narrazione calcistica”. No, è un discorso di peso. Di utilità comparate. Già solo nella partita di ieri, se Hamsik non fosse stato Hamsik nel momento di servire Callejon e aprire magistralmente l’azione del gol di Mertens, staremmo discutendo di quale risultato? E così via, a ritroso, lungo la storia dei dieci anni vissuti a Napoli dallo slovacco. Se pure volessimo fare il conto dei punti che il Napoli ha guadagnato/perso grazie ad Hamsik, i detrattori si troverebbero in grossa difficoltà. La loro teoria non avrebbe senso, perché non sarebbe aderente alla realtà.

Hamsik ieri non ha giocato bene, questo è un altro discorso. Più plausibile, più giusto, nel senso di essere esatto e nel senso di giustizia. Affermare il contrario non farebbe bene allo stesso Hamsik. Il capitano non si tocca in senso assoluto, ma si discute quando gioca male. E ieri, al netto dell’errore e del passaggio chiave sul primo gol, Hamsik non ha giocato bene. Controlli imprecisi, incapacità di ribaltare l’azione, di trovare la giusta coordinazione e il giusto timing per il tiro. No, non era il miglior Hamsik. Può succedere. Del resto, la sua stata convocazione è stata in dubbio fino a sabato.

Personalità

È l’accanimento a dare fastidio. L’accanimento nell’estremizzazione, l’estremizzazione dell’accanimento. Come se la prestazione di un calciatore, al di là di un suo errore pure marchiano, possa essere decisiva per le sorti di una partita. E, alla lunga, di un campionato. Certo, un giocatore può effettivamente influenzare l’andamento di un match. Può giocare una stagione straordinaria. Ma non può nulla da solo. Maradona ha avuto bisogno di Garella, Giordano e Romano per poter pensare allo scudetto. Higuain ha avuto bisogno di Insigne per raggiungere 36 gol in una stagione. Mertens ha avuto bisogno di Hamsik e Callejon per farne 28 nell’annata in corso.

Il discorso sulla personalità di Hamsik stavolta non attecchisce. Non è da Sassuolo-Napoli che si giudica la personalità di Marek. Del resto l’ultimo gol segnato dallo slovacco è stato durante Napoli-Juventus. Ovvero, una partita giocata ad armi pari con una squadra che tra pochi giorni giocherà la semifinale di Champions League. Come dire: difficile trovare di meglio.

Se pure volessimo farlo, c’è un assist a Insigne al Santiago Bernabeu. C’è un errore in impostazione che regala un calcio d’angolo al Real Madrid nel ritorno al San Paolo, ma ci sono pure il colpo di testa e il tiro da fuori decisivi contro Benfica (il gol del vantaggio) e Besiktas (la rete del pareggio). Soprattutto il gol di Istanbul va ricordato. Una rete sull’1-0 per loro, con una stadio intero contro e una qualificazione a quel punto davvero precaria a otto minuti dalla fine. Lì Hamsik di personalità ne ha avuta da vendere.

Possiamo continuare all’infinito il gioco degli episodi. E i discorsi sulla personalità del top player sono infarciti di frasi fatte. Hamsik lo conosciamo, sappiamo cosa può dare e fin dove può spingersi. Non dipende dall’avversario, è la sua forza. La sua potenzialità, che poteva porlo nei grandi club (secondo chi lo ama) e invece lui ha scelto di rimanere a Napoli; oppure (secondo chi lo odia) l’ha confinato in una realtà ambiziosa ma non vincente come quella di Napoli.

Cosa fare

Non sappiamo quale sia la verità. Perché, semplicemente, non c’è. Non c’è una certezza, il calcio non si fa con i periodi ipotetici. Ma con i risultati e le sensazioni riferite alla realtà. E criticare Hamsik per una prestazione cattiva e un errore in mezzo a un oceano di bellezza e importanza è come lamentarsi del freddo polare della Norvegia mentre si guarda l’aurora boreale. È quello che intendeva Gianni Montieri, oggi, nel pezzo che raccontava la sua Sassuolo-Napoli. Chiudiamo con quello, che vi farà capire tante cose.

«L’errore di ieri è l’errore di ieri, la carriera di Hamsik, il suo decennale rendimento è sotto gli occhi di tutti, sono nella memoria di tutti, negli archivi, negli almanacchi. Leggo che Hamsik debba essere ritenuto un perdente, lo è nella misura in cui riteniamo perdenti tutti i componenti della società sportiva calcio Napoli. Il Napoli non è una società vincente e non lo diventerà certo se ci mettiamo a prendere a schiaffi il capitano. Capitano, come ben sottolineato dal mio amico Michele all’intervallo della partita, che non era in giornata, o quell’azione del primo tempo l’avrebbe trasformata in gol. Il Napoli forse può diventare una squadra con la mentalità vincente insieme ad Hamsik».

 

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