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Pernat: «Dopo la morte di Simoncelli ho dormito nella sua camera, Rossi si sentiva in colpa: non è stato più quello di prima»

Il manager del motociclismo alla Stampa: «Marco era un ragazzo vero, quando eravamo a pranzo, se vedeva dei tifosi ad aspettarlo rinunciava a mangiare per andare a firmare gli autografi».

Pernat: «Dopo la morte di Simoncelli ho dormito nella sua camera, Rossi si sentiva in colpa: non è stato più quello di prima»
Lg Phillip Island (Australia) 13/10/2011 - conferenza stampa motogp / foto Luca gambuti/Image Sport nella foto: Marco Simoncelli

La Stampa intervista oggi Carlo Pernat, 46 anni vissuti i fra i motori. Il cross con la Gilera, l’ingresso nella velocità con la Cagiva, gli anni d’oro di Aprilia e poi i piloti, tantissimi: da Valentino Rossi a Max Biaggi, da Loris Capirossi a Marco Simoncelli, e ancora Andrea Iannone, Enea Bastianini.

«In Aprilia nessuno voleva Valentino, ci misi giorni a convincerli. Mi chiamò suo padre Graziano, andai a Misano per vederlo correre. Per come guidava, capii subito che o era un pazzo o era un campione. Mi innamorai di lui anche per la sua simpatia e gli offrii un contratto di tre anni per quasi 300 milioni di lire».

Rossi e Biaggi, i due storici rivali: lei ha vinto con entrambi.

«Max era quello che aveva portato il motociclismo fuori dai circuiti, in tv. Quei due iniziarono a litigare presto, in un ristorante a Suzuka, ma era nell’aria. Valentino riuscì a battere Biaggi perché gli trapanò il cervello, come fece con tutti i suoi avversari, capiva i loro punti deboli e picchiava su quelli. Devo tanto a Rossi, avevo mandato via Biaggi e se Valentino non avesse vinto il titolo in 125 forse sarei stato licenziato dall’Aprilia. Lo devo ringraziare, anche se poi gli dissi un no».

Poi c’è stato Marco Simoncelli

«Con Marco stavo bene, era un ragazzo vero, anche ingenuo se vogliamo. Mi ricordo che, quando eravamo a pranzo, se vedeva dei tifosi ad aspettarlo rinunciava a mangiare per andare a firmare gli autografi ».

Cosa ha significato per lei la sua scomparsa?

«Dopo essere tornati dalla Malesia, ero spesso a casa dei suoi genitori, dormivo nella camera di Marco, al primo piano. Nei primi giorni ho assistito a scene incredibili, arrivarono un pezzo della pista dell’aeroporto di Caselle con la scritta “Sic”, una coppia dalla Spagna solo per stringere la mano al papà e poi lettere dei bambini, tantissime e bellissime. A un certo punto, Paolo dovette mettere un cancello per quanta gente c’era ».

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Come ha superato quella tragedia?

«Succedevano cose strane. Spensi il telefonino dopo l’incidente e, quando lo riaccesi due giorni dopo, il primo messaggio che mi apparve era di Marco, c’era scritto: “Ci vediamo dopo”. Un segno: mi venne in mente l’idea della Fondazione. In quel momento volevo smettere con le corse, ma io e Paolo ci salvammo convincendoci l’uno con l’altro. Sua moglie Rossella ci diede la forza».

Anche i piloti furono profondamente colpiti.

«Il primo che arrivò a casa e abbracciò Paolo fu Andrea Dovizioso, che era sempre stato rivale di Marco. Valentino, invece, non venne per due mesi, si sentiva in colpa. Non è stato più lo stesso e secondo me ha ancora Marco nella sua testa. È grazie alla loro amicizia se esiste la sua Academy, quella da cui sono usciti piloti come Bagnaia»

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