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Mertens, il destino di dover sempre dimostrare qualcosa

Chi è stato, chi è e come gioca Dries Mertens. Una rilettura della sua carriera e della sua trasformazione: da attore non protagonista a star assoluta.

Mertens, il destino di dover sempre dimostrare qualcosa

Ho visto Dries Mertens

Dries Mertens cammina strano. L’ho visto una volta, a Castel Volturno, prima di un allenamento. Cammina come corre, petto in fuori, ventre in dentro. Quella postura strana, che non inarca le spalle e lo fa sembrare un’entità perpendicolare col terreno. L’ho visto camminare, il tratto dallo spogliatoio prima di entrare in campo, scherzava con un compagno. Non ricordo quale. Ricordo che prima di lui c’era Koulibaly, ma la differenza era enorme. Come la temperatura, quella misurata e quella percepita. Dries Mertens è alto un metro e 69, Kalidou uno e 93. La distanza è di 24 centimetri, meno di due iPhone 6 messi uno sopra l’altro. Eppure, da pochi metri, pareva un’eternità.

Uno dei longform scritti in Italia su Dries Mertens (Alec Cordolcini su Rivista Undici) parte proprio da questo concetto dell’altezza per definire uno dei concetti fondamentali di Dries Mertens. Che è una domanda su Dries Mertens. Oppure, diciamola tutta: è la domanda su Dries Mertens. Perché nessuno gli ha dato mai fiducia? Perché lo stesso Sarri, giusto qualche giorno fa e solo ieri, con fatti e gol e numeri che pesano come un macigno, si è accorto con tanto ritardo che Mertens, prima d’ora, non ha mai reso secondo le sue possibilità?

La storia ha voluto una data

Noi che lo vediamo giocare da più di tre anni, abbiamo un osservatorio privilegiato. Almeno possiamo affermare che qui a Napoli “c’è Insigne”. Che, fortunatamente per la squadra azzurra, gioca nello stesso ruolo di Mertens e crea da sempre un dualismo di altissimo livello sulla fascia sinistra d’attacco. Cioè, noi qui abbiamo una giustificazione al fatto che Mertens, prima che Sarri lo inventasse centravanti, fosse un calciatore dall’utilizzo non continuo.

È anche una questione di caratteristiche: in un sistema organico come quello di Benitez e Sarri (ognuno a suo modo, ma non troppo dissimili), un esterno più addestrato alla fase di non possesso si fa preferire ad un folletto più spiccatamente offensivo. Ecco che, quindi, l’Insigne costruito nel suo periodo in prima squadra diventa un calciatore tatticamente più funzionale. Una motivazione più che valida, che trova riscontro nella realtà. Come dire: non è un caso che entrambi, Benitez e Sarri, abbiano preferito di più il ragazzo di Frattamaggiore. O non si spiega, o sono entrambi stupidi. E non ci pare questo il caso.

Riguardiamolo insieme

In questi giorni, su Facebook, sta girando prepotentemente un video. Questo di sopra. Che è diventato virale già qualche anno fa, ma che in questo periodo si moltiplica sui newsfeed di tutti i tifosi del Napoli. Lo conoscerete, è quello di Eziolino Capuano che fa un pronostico (avventato) sull’avventura napoletana di Mertens. Un amico del Napolista, Luca Dombrè, ha scritto il commento più divertente a questo estratto di una trasmissione televisiva. “La storia ha voluto una data: 17 giugno 2013”. Geniale.

Dimostrare qualcosa, sempre

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Eppure, al di là della venatura comica, questo commento fa riflettere. E fa riflettere anche noi su quelli che sono i nostri criteri d’accoglienza per un calciatore straniero. I criteri d’accoglienza che abbiamo adottato per Dries Mertens. Un po’ come quello di partire in ritardo fosse un suo destino. Anzi, fosse il destino di Dries Mertens. Come se dover dimostrare qualcosa sempre, per forza, sia una sua condanna. Mertens, pensateci, ha camminato e cammina da sempre sul filo dell’incertezza. Sul cornicione della legittimazione necessaria.

A Napoli, per i motivi che abbiamo detto prima e anche per altri (ne parleremo dopo). Col Belgio, una selezione in cui viene puntualmente convocato ma in cui fa fatica a giocare perché ci sono campioni che sono (sembrerebbero?) più forti di lui. Parliamo di Hazard, De Bruyne, Lukaku. E fin qui, ci sta pure. Ma poi ci sono anche Ferreira-Carrasco, Origi, Benteke. Che, forse si può dire, se la giocano con Mertens in quanto a qualità assoluta.

Eppure, Mertens parte dietro. Sempre dietro. Come anche quando ha lasciato il Belgio per l’AGOVV, seconda divisione olandese. A 20 anni, quando la carriera di un suo coetaneo (Messi, ad esempio) aspirante top player è già lanciata. Come al Psv, cui è arrivato dopo una splendida stagione all’Utrecht (lo affrontammo in Europa League, annata 2010/2011) per sostituire Dzsudzsák, venduto a peso d’oro alla Dinamo Mosca. Mertens doveva esserne l’erede, hanno un solo anno di differenza. Oggi, Dzsudzsák è il capitano dell’Al-Wahda.

Persino ora che fa il centravanti del Napoli, possiamo dirlo con tutti i crismi dell’ufficialità, quasi ci viene da mettere in dubbio quello che stiamo vedendo. Non è un caso, non può esserlo, che la redazione del Napolista, ieri pomeriggio, si sia subito spaccata a metà sul futuro del ragazzo proveniente dal Psv. Come esterno, come centravanti. In attesa di Milik, in attesa di Pavoletti. Cioè, Mertens ha segnato 8 gol in 3 partite di fila. E noi siamo ancora qui a chiederci se durerà, che sarà di lui, come si evolverà la situazione. Essere Dries Mertens vuol dire non avere e non riuscire mai a dare una sicurezza certa. Una certezza definitiva.

Benitez

Mertens

Sopra, la prima partita giocata “bene” da Mertens con la maglia del Napoli. In realtà è la sua seconda partita da titolare, faceva parte dell’undici che incrinò fin da subito il rapporto Benitez-Napoli, quello di Napoli-Sassuolo. Non fece benissimo, Dries, del resto come tutta la squadra. Fu additato come uno dei “colpevoli” di un pareggio all’epoca considerato quasi vergognoso, una roba che non poteva esistere dopo quattro vittorie consecutive e il successo interno col Borussia Dortmund.

Fatto sta che Rafa, un testa dura, lo schiera da titolare contro il Livorno. Il Napoli vince 4-0, al minuto tre segna Pandev. L’assist è di Mertens, dopo una progressione palla al piede dalla difesa con quell’incedere tutto suo, personale. Sul terzo gol del Napoli, di Callejon, Mertens è autore dell’assist. Al minuto 3.10 del video, Mertens tira una punizione a scavalcare la barriera. Fantastica, bellissima. Il portiere del Livorno, Bardi, compie un intervento fenomenale. Sul quarto gol, siglato da Hamsik, la palla dentro per il primo tiro di Callejon è di Dries Mertens. Una prestazione sublime. 24 giorni dopo, a Firenze, Mertens segnerà il suo primo gol con la maglia del Napoli.

Quindi, il “vero” Mertens si è rivelato con qualche partita di ritardo. Il turnover scientifico di Benitez l’ha inizialmente penalizzato, ma al tempo stesso gli ha dato il tempo dell’adattamento. Ha fatto in modo che Napoli conoscesse Mertens solo quando Mertens sarebbe stato pronto davvero. È stato amore, fin da subito. Non di quegli amori viscerali, i sentimenti che abbiamo vissuto per Maradona e solo per Lavezzi dopo di lui.

No, qui è una cosa diversa: è un’affezione cresciuta lentamente, reciprocamente, da una parte il calciatore che piano piano si immerge nel Napoli, dall’altra i tifosi che iniziano a pensare che il ragazzo ci sa fare, che gioca a pallone come piace a loro, che è pazzo, che fa delle belle cose. Come la doppietta alla Sampdoria alla Befana 2014. O come lo splendido gol a Verona sei giorni dopo.

Il turnover, Sarri, Insigne e Higuain

Mertens

Il primo Mertens agisce come esterno offensivo classico secondo Benitez. Napoli che costruisce dal basso, possesso posizionale, apertura sulla fascia, taglio del centravanti ad aprire lo spazio e l’esterno gioca con la sovrapposizione del terzino, o a tagliare il campo con il cross, o punta la porta. Mertens sceglie quasi sempre la terza giocata, e forse anche questo lo penalizza rispetto ad Insigne. A Verona, come abbiamo visto sopra, un’essenza del gioco di quel Napoli e di come giocava Mertens quando veniva schierato. Nella prima stagione, gioca il 57% di partite da titolare, che salgono al 63% nell’annata successiva. Che non fa tanto testo, in verità, perché è quella dell’infortunio di Insigne. Per la prima volta a Napoli, Mertens è titolare e De Guzman è la sua riserva di lusso.

Anche in quel caso, Dries incredibilmente va incontro al suo destino. A Doha, per la Supercoppa giusto due anni fa, in campo ci va l’olandese (Mertens entra al 79esimo al posto di Hamsik). Per tutto un certo periodo, in campo ci va l’olandese. Lui rimonta a fine stagione. Ma non sembra esserci niente da fare, per diventare titolare inamovibile ed essere una sicurezza. Sembra impossibile, se ti chiami Dries Mertens.

L’anno scorso succede la cosa inversa. A fine anno, solo il 33% di partite da titolare. Insigne gioca la sua miglior stagione, è perfetto per Sarri e Higuain e quindi Sarri e Higuain diventano perfetti per lui. Qualcuno, però, a un certo punto storce il naso. Non Dries, che da questo punto di vista sembra essere consapevole di questa sua condanna alla seconda linea perenne. È un professionista nel senso più profondo del termine, non ha mai rilasciato dichiarazioni “bellicose” sull’utilizzo in campo e tantomeno le ha fatte rilasciare ai suoi procuratori. Sono gli stessi tifosi, quando Insigne prende a declinare fisicamente e psicologicamente, a chiedere un maggior utilizzo di Dries. Sul Napolista, la penna che urla “Salvate il soldato Mertens” è quella di Maurizio Cortese.

Mertens realizza una tripletta da favola al Bologna, verso fine campionato, è impalpabile nel big match di Roma e serve a Higuain il pallone del record, quello prima della rovesciata. Sembra tanto tempo fa, non sono passati più di sette mesi.

Il post-Pipita

Mertens

Sì, perché nel frattempo tutto è cambiato. Il Napoli ha ceduto Higuain, acquistato Milik e Sarri ha dovuto cambiare qualcosa, fin da subito e fin dall’inizio. L’abbiamo scritto molte volte, sul Napolista, in modo da spiegarci e spiegare cosa stesse preparando, Sarri, per far fronte al nuovo anno e alla nuova mancanza di un centravanti dominante. All’improvviso, il gioco di Mertens diventa più funzionale di quello di Insigne. La cosa che aveva in qualche modo “costretto” Sarri e Benitez a preferire Insigne diventa improvvisamente fondamentale per il nuovo Napoli, che a un centravanti come Milik (o Gabbiadini) deve necessariamente affiancare esterni più portati alla ricerca della conclusione personale. Personaggi che cercano di più la porta, che a un cross preciso dalla sinistra preferiscano la percussione in area, che sostituiscano il tiro a giro con una conclusione forte, di potenza.

Non abbiamo fatto nomi, ma si è capito. Nelle prime partite, il Napoli ha bisogno di Mertens e non di Insigne. Per la prima volta, forse. Mertens risponde bene, segna due gol a Pescara subentrando dalla panchina, è decisivo contro Milan e Benfica. Si alterna con Lorenzo che riesce a recuperare fiducia e condizione e gli si affianca come alternativa di lusso. Sempre meglio Mertens, però. Soprattutto quando c’è Milik in campo, l’accostamento M+M viene naturale. Poi, ad ottobre, l’infortunio del polacco e la necessità di far giocare Gabbiadini. Sì, come no.

Il falso nueve

Oppure, magari, si potrebbe provare Mertens falso nueve. Se Napoli avesse avuto un Twitter interno, in quei giorni, individuare il topic trend non sarebbe stato un problema: #falsonueve, senza se e senza ma. Poco dopo l’infortunio di Mertens, scrivevamo così:

L’utilizzo di Mertens, da questo punto di vista, permetterebbe di non rinunciare all’equilibrio tattico garantito da Callejon sulla destra. Per quanto riguarda i nuovi acquisti, nessuno ha caratteristiche da potenziale attaccante. Al massimo, Giaccherini potrebbe essere utilizzato come esterno del tridente, esattamente il ruolo per cui è stato acquistato (ha i galloni di vice-Callejon).

Oppure così, subito dopo Napoli-Empoli:

Il “senso” dell’esperimento di Sarri, ieri sera, è stato quello di utilizzare un fantasista adattandolo al ruolo di centravanti. Ovvero, in parole spicciole, mettere Mertens a fare il lavoro che fu di Higuain e che quest’anno era passato a Milik. E Mertens ha cercato di fare proprio questo, pur a modo suo. Le cose di cui abbiamo già parlato, le conclusioni, la pericolosità al tiro. Ma anche tutto il resto, innanzitutto sponde e passaggi che sono duetti con i due laterali offensivi, primi interlocutori di chi, in questa squadra, veste anche il ruolo di regista offensivo (come Higuain, più che come il più elementare Milik). Da questo punto di vista, l’esito può dirsi sufficiente.

E non avevamo ancora visto niente.

Cagliari-Napoli 0-5

Oggi

Più che la partita col Torino, di cui parleremo dopo, è quella col Cagliari a segnare lo spartiacque tra il Mertens improvvisato e il Mertens centravanti vero. I tre gol del belga nascono tutti nati da azioni di squadra, che sono chiuse o comunque accompagnate da una sua giocata da attaccante. Da attaccante, però. Non da falso nueve, che è un’altra cosa. No, Mertens ha studiato il manuale del numero nove. Una settimana fa, scrivevamo così.

Insomma, tutto quello che è stato dall’infortunio di Milik in poi, ha coinvolto soprattutto lui. Che, prima d’ora, aveva dato segnali di aderenza al ruolo. Oggi, ha portato un vero e proprio certificato di autenticità. Col timbro della tripletta, la sua seconda con la maglia del Napoli.

Basta riguardarsi i gol per capire che questo certificato è valido, non ha scadenza. Il primo, soprattutto. Uno splendido movimento da attaccante, palla controllata, piede perno e tiro a giro sul secondo palo. Tre tocchi, roba semplice e veloce. Roba bella, come gli altri due gol ma questo è qualcosa di più. Perché sblocca la partita, perché sblocca il giocatore (a secco, in campionato, da Napoli-Empoli 2-0), perché dice che il calciatore non sta più usurpando un ruolo o tappando un buco. No, Mertens oggi è un attaccante. L’ha dimostrato, con i tre tocchi facili del primo gol. L’ha confermato, nella ripresa, con due conclusioni a tu per tu con Storari e un altro gol simile fallito.

Un attaccante

Mertens

Ecco, ora abbiamo un attaccante. Ora, Dries Mertens è un attaccante. Lo vedi nel primo gol della partita di ieri, che è uno schema provato e riprovato a cui lui accoppia un perfetto movimento a mezzaluna al centro dell’area, per saltare il difensore e agirgli alle spalle. Lo vedi nei numeri che sta collezionando: già contro l’Empoli, una delle sue primissime partite come attaccante, Dries era riuscito a diventare il calciatore con il maggior numero di tiri in porta in una sola partita dell’attuale campionato (11).

Nelle ultime due partite, la media si abbassa a 8.5 (17 conclusioni verso la porta), con un’accuratezza del 67%. Ergo, 10 tiri dei 17 sono finiti all’interno dello specchio della porta. Di quei 10, 7 sono stati gol. Sono numeri da attaccante. Anzi, di più. Da grande attaccante. In più, 4 key passes e il 70% dei duelli one-to-one vinti. Nessuno di testa, uno solo tentato. È sempre alto 169 centimetri, nonostante qualcosa sia cambiato.

Il Napoli che gioca con Mertens centravanti è una squadra che, come abbiamo sottolineato nelle ultime analisi tattiche, si è adattata a questa sua nuova veste. A questo calciatore catapultato d’improvviso in una nuova dimensione. Una “scelta”, obbligata e necessaria, che ha innescato un processo di complementarietà. L’adattamento di Mertens al Napoli (come centravanti) e del Napoli a Mertens come centravanti. Una doppia situazione di scambio che ha richiesto un tempo di gestazione, ma che oggi sembra essere giunta a compimento.

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Grazie a Dries, alla sua capacità di muoversi in sincro alla squadra. Alla sua capacità di lavorare in posizione di regista offensivo secondo movimenti e giocate aggregative. Sopra, due heatmap a confronto: Udinese-Napoli a sinistra, Cagliari-Napoli a destra. Un cambiamento che è uno spostamento di posizione in avanti, ma anche la capacità di giocare il pallone in maniera diversa, anche in una quantità minore di azioni. Una maggiore presenza in area, dovuta anche alla diversa consistenza difensiva degli avversari e all’andamento della partita, ma che comunque è pienamente visibile.

Mertens, oggi, agisce come vero e proprio attaccante di movimento. Si muove secondo un preciso spazio e attraverso determinati movimenti, ad allungare la difesa avversaria e poi a chiudere l’azione all’interno dell’area. Oppure, come a Cagliari, per concludere dal limite. Sotto, due gif a confronto per spiegare quello che intendiamo: il gol segnato contro l’Empoli e il primo segnato a Cagliari. Due situazioni, due facce della stessa medaglia tattica.

Il nuovo destino

Mertens

Forse, per la prima volta, il destino di Mertens è quello del protagonista. Forse, come nelle grandi produzioni hollywoodiane, ci voleva il colpo di scena per ribaltare la storia. Un po’ come nei film o nei romanzi di formazione, che poi la carriera di Dries è così, in piena crescita. Ed è bello pensare che ora, a individuare questo cambio di passo, ci sia un momento chiave preciso. Un gol bellissimo, come da tanto non si vedeva a Napoli. Cioè, non che a Napoli non si vedessero gol belli da un po’. Quello di ieri, ovviamente il quarto della serie, è diverso.

È un’altra cosa perché è una follia, Lele Adani si è esaltato e l’ha chiamato vaselina. Così come Nicola Lo Conte nella sua compilation di gif pubblicata stamattina. È un colpo di follia, di genialità, è una cosa complessa solo a pensarci. Il tiro da fuori puoi immaginartelo, è bello vederlo volare nella propria mente fino al sette, ma nello spazio dal piede alla rete possono succedere tante cose. Più è ampio, più possono esserci deviazioni, folate di vento, intralci vari. Eppoi, è una sfida lanciata da lontano a un omone grande e grosso, che sta lì pronto a evitare che quel tentativo velleitario entri in porta.

Il pallonetto no. Deve essere perfetto da subito, è una sfida alla fisica e alla balistica. È il tuo piede che dipinge, è un tentativo che ci mette pochissimo o tantissimo, ma non può e non deve subire modificazioni. Deve partire pulito, arrivare pulito. Deve essere un gesto follemente consapevole. Consapevole di essere bellissimo, rischioso. Ci vuole una certa sicurezza, per farlo. Ecco, quello che Mertens pare non sia mai riuscito ad avere, ed offrire. Ieri, il suo quarto gol è arrivato con tutti questi significati qui. Forse non è un caso.

Post scriptum

Per tutto il pezzo, abbiamo voluto fuggire dalla retorica dell’amore di Mertens per Napoli, del suo attaccamento alla città. Che fa piacere, ci mancherebbe, ma che per noi viene dopo tutto questo. Sono calciatori, e professionisti. Ce ne sono alcuni che si innamorano, altri no. Mertens fa parte del primo gruppo, ma è un titolo di merito ulteriore che non c’entra niente con la storia che abbiamo raccontato. Ci fa piacere che Mertens sia così legato a Napoli, ma forse si sarebbe legato ugualmente anche a Granada o a Southampton, a Gelsenkirchen. Sarebbe stata la stessa cosa.

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