Due situazioni simili, finite diversamente ma accompagnate dallo stesso atteggiamento inospitale, dalla stessa ritrosia. A Frank non è stato dato il tempo, peccato.
Per chi segue il Napoli, il caso di Frank de Boer è un deja-vu. Riporta alla mente, nitido, il biennio azzurro di Rafa Benitez. Certo, il background è un attimo differente: Benitez arrivò a Napoli praticamente a giugno, ebbe un periodo lungo un’estate intera per poter mettere a punto la sua squadra, il mercato, il lavoro sul campo. Ribaltò completamente il teorema tattico che aveva condotto il Napoli in Champions League, iniziò benissimo e poi tutto il resto della storia la conoscete. De Boer, invece, è arrivato a dodici giorni dall’inizio del campionato per sostituire Mancini, non ha seguito in prima persona né la campagna trasferimenti, tantomeno il momento fondamentale del ritiro estivo. E poi, la cosa fondamentale: risultati negativi, molto negativi, inframmezzati da isolati momenti di soddisfazione.
Così diversi, così uguali
Al netto di queste differenze, però, il paragone viene facile, immediato: entrambi i tecnici cercarono di portare all’interno di un contesto come la Serie A italiana un gioco diverso, lontano anni luce dal primato speculativo, o comunque poco legato all’estetica, che caratterizza da sempre la nostra Serie A. Al di là del rapporto con la stampa (di quello parleremo in separata sede), il racconto delle esperienze italiane di Frank e Rafa parte proprio da qui, da una discussione sul ruolo dell’allenatore e dalla scelta necessaria tra l’attesa per lo sviluppo di un progetto di gioco e la necessità di portare a casa, fin da subito, i risultati.
Benitez fu aiutato, molto, dall’immediato rendimento positivo. Quando però iniziarono a emergere le crepe di una struttura non ancora adatta a sostenere idee lontane dalla nostra mentalità, tipo il turnover o comunque un gioco mai speculativo, iniziarono le prime critiche. È qui, secondo chi scrive, che si consuma il più grande delitto del calcio italiano: criticare gli allenatori che “non lo capiscono” tatticamente e quindi non sarebbero adatti o adattabili. La certezza che principi più rischiosi, o comunque concepiti in maniera diversa rispetto alle massime della nostra storia, non possano avere successo o fare punti. Una stupidaggine. E a Napoli, con Sarri, ne abbiamo avuto dimostrazione nello scorso campionato. Concluso al secondo posto, direbbe chi sostiene che “con lo spettacolo non si vince”. Vero, ma è vero pure che il Napoli non era da solo in testa al campionato da 25 anni. È tutta una questione di contesto, contestualizzazione e contingenze. E di attesa.
Saper aspettare
La stessa attesa che è mancata a quest’Inter, che non ha voluto dare tempo al tecnico olandese per provare a mettere la sua impronta personale sul gioco della squadra. Leggendo siti e pagine Facebook dedicati alla società nerazzurra, molti commenti sottolineano come la povertà dei risultati faccia il paio con la presenza di un’idea di gioco, vista raramente ma comunque esistente, palpabile. Alcuni sostenevano che ormai l’esonero, come si diceva tanti anni fa, s’imponeva. Ovviamente, nessuno conosce la verità assoluta, ma il problema è a monte: prendere un allenatore dal gioco così organico, dal progetto tattico così definito, e non saperlo/volerlo/poterlo aspettare. Soprattutto quando questo matrimonio s’ha da fare d’urgenza e d’emergenza, dopo il fulmine a ciel sereno dell’addio di Mancini. Ingaggiare de Boer doveva significare dargli la possibilità di sbagliare, di adattare (questo sì) il suo credo al nostro modo di giocare, senza la pressione asfissiante del risultato come unico discrimine. È un passaggio che il calcio deve in qualche modo interiorizzare soprattutto con allenatori stranieri.
(in)Ospitalità
Qui, in questo, la vicenda Benitez è molto simile a quella di de Boer. Un allenatore che arriva a questi livelli non può che essere bravo o all’altezza della situazione. È il contesto, ad essere diverso. E le differenze vanno valutate in base a criteri stabiliti precedentemente: se tu vuoi costruire una squadra che tenda a vincere subito, che sia orientata ad ottenere immediatamente risultati e punti, non prendi de Boer. E non prendi Benitez, esattamente come l’Inter tre anni prima del Napoli. Oppure, lo prendi ma gli lasci il tempo di lavorare. Di importare e imporre le idee di un’altra cultura. Senza l’aut aut dei punti che sono pochi, del gioco che non permette di fare partite sporche contro Chievo o Sampdoria, senza l’ansia di non poter ruotare i calciatori perché il turnover è un mostro a tre teste. Senza la pressione che è tipica del nostro calcio, che è inospitale prima di tutto perché pensa di essere un sistema chiuso, autoreferenziale. Esattamente come quello inglese, come spiegammo qualche tempo fa parlando di Guardiola e di un pezzo a sua difesa pubblicato dal Guardian.
Benitez è riuscito a resistere per due anni, ma ha convissuto con un ambiente che non perdeva occasione (eufemismo) per esprimere la sua ritrosia a un qualcosa di nuovo, di diverso. Mentre scriviamo, apprendiamo la notizia dell’esonero ufficiale di de Boer. E del suo post su Instagram, in cui dà una lezione di stile non da poco al nostro calcio.
Peccato che sia finita così. Per portare avanti questo progetto serviva più tempo. Voglio ringraziare tutti i tifosi per tutto il supporto che mi avete dato questi mesi. “Forza Inter”
Non c’è bisogno di aggiungere altro.