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I gol di Sallustro all’Inter e Sentimenti II che rifiutò la Juve

I gol di Sallustro all’Inter e Sentimenti II che rifiutò la Juve

Si è tenuto ieri il quinto appuntamento del ciclo di seminari “Napoli. La città, la squadra e i suoi eroi” che da diverse settimane si svolge presso il Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II. Arnaldo Sentimenti (detto Sentimenti II in quanto secondo di cinque fratelli tutti calciatori) e Attila Sallustro sono stati i due campioni del passato calcistico partenopeo al centro del dibattito. L’incontro ha visto come relatori Mimmo Carratelli, storica penna de Il Mattino, Vittorio Dini, docente presso l’Università di Salerno, Guido Panico, anch’egli docente presso l’Università di Salerno, e Valerio Vegezio, nipote del grande Sentimenti.

È il professor Francesco Pirone, curatore del seminario insieme al professor Luca Bifulco, ad introdurre la discussione ricordando che gli anni in cui Sallustro e Sentimenti indossano la maglia azzurra sono anni caratterizzati da una fase storica complicata e interessante: lo sport inizia ad organizzarsi in forma di campionato all’interno della cornice ideologica del fascismo, inaugurando dunque quel rapporto tra sport e regimi totalitari che vede lo sport essere una componente fondamentale per la sua capacità di inserirsi all’interno del discorso pubblico.

Attila Sallustro è considerato il primo vero e proprio idolo calcistico del Napoli. Nato in Paraguay da una famiglia di origine napoletana, iniziò a giocare a calcio sotto consiglio medico per guarire dalle febbri reumatiche di cui soffriva e quando, a soli dodici anni, giunse a Napoli insieme alla sua famiglia, la Villa Comunale fu il teatro dei suoi primi calci su suolo partenopeo. Fu proprio in quel luogo che venne notato, quasi per caso, da Mario De Palma, talent scout dell’epoca che lo ingaggiò per far parte dei boys dell’Internazionale, una delle due squadre napoletane. Con la fusione dell’Internazionale e del Naples Sallustro divenne, a soli diciassette anni, centravanti della nuova squadra, l’Internaples. Ben presto per la sua rapidità e il tiro micidiale fu denominato dalla stampa nazionale “il veltro”, e quando Giorgio Ascarelli, allora presidente dell’Internaples, decise che era giunto il momento di dare alla città una squadra che portasse il suo nome, fondando così la Società Calcio Napoli, Sallustro entrò da subito a farne parte dimostrando di essere un gran campione. Iniziò così, contemporaneamente, anche il forte legame tra l’atleta e la città.

I primi anni non sono certo anni gloriosi per la nuova squadra partenopea che colleziona una serie interminabile di sconfitte (dalle quali nacque nelle fantasie popolari l’immagine del “ciuccio”), ma già a partire dalla stagione ‘28/’29, nonostante una squadra non ancora matura, Sallustro segnò ben ventidue gol dimostrando una capacità realizzativa fuori dal comune. Gli anni a seguire, grazie ad importanti investimenti del presidente Ascarelli, arrivarono campioni del calibro di Vojak e Mihalich che insieme a Sallustro andarono a costituire uno dei tridenti più forti dell’ante-guerra che realizzò bel 43 reti in 31 incontri! Nonostante questi dati inconfutabili Sallustro, secondo il parere del professor Dini, fu sfortunato da un punto di vista calcistico in quanto si scontrò con due problemi: la questione nord-sud e la rivalità con Giuseppe Meazza. Questi due elementi, secondo lo studioso, condannarono Sallustro a non trovare il meritato spazio in Nazionale. Collezionò infatti solo due presenze, perché l’allora tecnico della nazionale, Vittorio Pozzo, gli aveva preferito la superiorità tecnica di Meazza. Anche allora si parlò di Nord e Sud, ricchi e poveri, potere economico e povertà meridionale. Ma Sallustro riuscì a prendersi la sua rivincita sul rivale in campionato segnando ben due doppiette e altri gol all’Ambrosiana, squadra in cui militava Meazza. Gli anni ’30 sono anni altalenanti per la squadra del Napoli, contrassegnati da stagioni dignitose alternate a stagioni molto deludenti, e lo stesso Sallustro sembrò non essere più il campione di un tempo: una parte della stampa dell’epoca attribuì questo suo calo al suo rapporto con l’avvenente soubrette Lucy d’Albert che nel ’34 divenne sua moglie. Ma forse, secondo quanto affermato dal professor Panico, Sallustro stava semplicemente vivendo la stessa parabola discendente del Napoli che ormai sembrava non più capace di ripetere le imprese gloriose degli anni precedenti. Così, dopo undici stagioni in maglia azzurra, 262 partite e 103 reti, Sallustro conclude la sua carriera calcistica giocando un anno nella Salernitana. Dopodiché si trasferì a Roma con la sua famiglia fino al 1960, anno in cui tornò a Napoli per ricoprire il ruolo di direttore del San Paolo, carica mantenuta per ben vent’anni. Morì nel 1983, un anno prima che arrivasse a Napoli Diego Maradona che ha così potuto riempire, dopo anni, quel vuoto lasciato nel cuore del Napoli e dei napoletani.

Altro protagonista di questo incontro e idolo del Napoli è stato Arnaldo Sentimenti. Figlio di una umile famiglia di braccianti, Sentimenti nacque in un piccolo paesino del modenese e come i suoi cinque fratelli iniziò a tirare calci al pallone, ma soprattutto a pararlo, per tentare di cambiare quello che sembrava essere il suo destino: lavorare nei campi, un lavoro dignitoso ma certamente faticoso. Cominciò a giocare nella Pro Calcio di Bomporto, il suo paese, e in una amichevole a Modena fu notato dal tecnico William Garbutt che gli propose di giocare con il Napoli. Di fronte a quella proposta, e di fronte a cinquecento lire, l’appena ventenne Sentimenti non esitò ad accettare: passarono pochi giorni e il giovane Arnaldo passò dal piccolo paesino nella piatta pianura modenese all’ombra del Vesuvio. Coccolato da allenatore e dai compagni, vista la sua non facile vita sino ad allora, iniziò come riserva di Cavanna ma dopo pochi anni riuscì a giocarsi al meglio le sue carte: riuscì a non subire gol nelle sue prime tre gare ufficiali e dimostrò una notevole capacità nel parare i rigori conquistandosi a pieno titolo la maglia titolare. Il destino volle che ad interrompere la serie di rigori parati, ben nove di fila, fu nientemeno che suo fratello Lucidio: era il ’42 e allo stadio del Vomero si giocava Napoli-Modena. Sull’1-0 per i partenopei, l’arbitro assegna un calcio di rigore a favore della squadra ospite. Data la nota capacità di Sentimenti nel parare i rigori, nessun giocatore sembrava avere il coraggio di sfidarlo fino a quando si fece avanti proprio Lucidio, portiere della squadra emiliana. Fu una sfida tutta in famiglia che a vincere però fu proprio il piccolo Lucidio, che mise così fine alla serie positiva del fratello maggiore: come ha ricordato Carratelli, si narra che Arnaldo, preso dalla rabbia, rincorse il fratello per tutto il campo! Per fortuna, dopo solo dieci minuti l’arbitro assegnò un altro rigore, al Napoli, messo a segno da Verrina e l’incontro si concluse 2-1 a favore dei partenopei.

Denominato dai suoi compagni cherié per il suo amore per la canzone francese dal medesimo titolo, che egli era solito canticchiare durante gli allenamenti, Sentimenti decise di non lasciare mai il Napoli e la città che riteneva essere la sua seconda mamma, neanche di fronte ad una meritevole offerta da parte della Juventus: solo i bombardamenti nel secondo conflitto mondiale che sconvolsero la città lo costrinsero ad allontanarsi, ma appena avuta la possibilità vi fece ritorno. Militò nel Napoli per ben dodici campionati, di cui otto da capitano, sposò una ragazza napoletana e rimase a vivere a in città, nel quartiere Vomero, fino alla sua morte avvenuta nel 1997. A regalarci un episodio inedito di Sentimenti è stato il nipote, Vegezio: ha condiviso con noi un suo ricordo di quando, ancora bambino, accompagnava suo nonno allo stadio e con la complicità di Sallustro riuscivano ad entrare attraverso uno dei cancelli. Insieme, nonno e nipote si mettevano dietro la porta napoletana per sostenere e consigliare il portiere. E, più di una volta, i due venivano cacciati a causa della troppa enfasi del tifoso Sentimenti, non proprio tenero con gli arbitri.

Le storie dei due campioni, quella di Sentimenti e quella di Sallustro, come si può intuire, sono storie molto diverse: Sentimenti è un italiano del nord che emigra al contrario trasferendosi al sud, Sallustro è un oriundo che si ritrova a giocare nella città che aveva dato i natali ai suoi genitori; Sentimenti proviene da un’umile famiglia e il calcio è passione ma soprattutto un modo per sottrarsi ad una vita di stenti, Sallustro abbandona gli studi universitari per il calcio e inizialmente gioca senza percepire alcuno stipendio; Sentimenti è un portiere, l’estremo difensore, un ruolo solitario, ma che ha la responsabilità di non far perdere un’intera squadra, Sallustro è un centravanti, un attaccante, ruolo diametralmente opposto. Sono storie, le loro, che sembrano rifiutare un qualsiasi tentativo di scriverle secondo un ordine prestabilito, storie che non combaciano con la razionalità di un regime che vorrebbe lo sport come “oppio per i popoli”, storie che seppur inconsapevolmente incarnano quella ribellione tutta partenopea, primitiva ed istintiva, nei confronti delle imposizioni. Storie vissute inseguendo un sogno e spinte dalla passione. Storie e personalità diverse le loro, certo, ma accomunate sicuramente dal fatto che entrambi abbiano voluto fortemente il Napoli e Napoli: entrambi possono essere ritenuti a pieno titolo napoletani di adozione e idoli per la devozione e l’attaccamento alla maglia dimostrati durante la loro carriera calcistica e per l’amore dimostrato a questa città.

(nella foto, i fratelli Sentimenti con al centro Arnaldo) 

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