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Callejon, l’antidivo che fa innamorare gli allenatori

Callejon, l’antidivo che fa innamorare gli allenatori

È quasi un destino quello di José Maria Callejon: rimanere nell’ombra, essere celebrato solo nelle note a margine. Pensateci, pensiamoci. Ieri, Napoli-Verona, nel giorno in cui è il calciatore più determinante e pericoloso dell’intero undici azzurro in quanto a tiri in porta e occasioni da gol (l’abbiamo scritto nella nostra analisi tattica, qui), è invece stata la partita di Gabbiadini-perché-Higuin-non-c’era.

È un fardello che José si porta sulle spalle da sempre, già molto prima del suo approdo al Napoli nell’estate nel 2013. Nell’Espanyol, ad esempio, è titolare fisso ma segna appena 12 gol in 106 presenze. Perché in squadra, insieme a lui, gioca e si rivela al mondo Pablo Daniel Osvaldo che segna 13 gol e fa innamorare l’Italia del calcio. L’anno precedente, insieme al futuro attaccante di Roma, Inter e Juventus, gioca con la seconda squadra di Barcellona anche l’idolo assoluto Raul Tamudo. Come dire: Callejon ha il dna del comprimario, ha sempre qualcuno pronto a rubargli la scena.

Figurarsi cosa succede al Real Madrid, appena dopo aver lasciato l’Espanyol. Un attaccante esterno che finisce nella squadra in cui gioca Cristiano Ronaldo. Ovvero, un manuale su come autodistruggere le proprie possibilità di giocare titolare. Invece, Callejon si impone: l’allenatore delle merengues, un certo José Mourinho, fa una fatica bestiale a rinunciare a quel calciatore antidivo che sa fare tutto: 36 presenze nella prima stagione, 41 nella seconda. Tanti spezzoni, poca Champions ma di qualità: in tutto, 9 presenze, 7 reti.

Quando Ancelotti rileva lo Special One sulla panchina del Real, il Napoli porta sotto il Vesuvio Rafa Benitez. Che, insieme all’agente Quillon, fa la spesa nella boutique del Bernabeu. Higuain è il pezzo pregiato; Albiol il difensore che serviva. E poi, questo calciatore di cui si conosce poco in realtà, solo che è stato un feticcio di Mourinho e nasce nominalmente attaccante per poi trasformarsi in un uomo offensivo senza ruolo definito. A Napoli la storpiatura dei cognomi è una cosa che avviene di frequente, soprattutto con lo straniero. La “j” muta di Callejon si presta a molteplici interpretazioni linguistiche. La più bella secondo chi scrive, è quella che mixa il cognome di José Maria a quello di un attaccante che ha fatto la storia piccola e recente del club, il sempre amato dal pubblico Emanuele Calaiò. Callejon diventa immediatamente “Calajon” o “Calejò”, lui intanto esordisce col botto e col gol (Napoli-Bologna 3-0 la apre lui con un tap-in dopo un tiro di Hamsik) e in un ruolo indefinito, e quando mai, alle spalle del terminale offensivo Higuain. I primissimi Napoli di Benitez schierano Pandev esterno nei tre trequartisti, alla destra o alla sinistra di Hamsik. L’altro, fin da subito irrinunciabile, è ovviamente Callejon. Che gioca a sinistra in quella partita, poi a destra contro il Chievo (ancora un gol su assist di Higuain), poi ancora a destra contro l’Atalanta (altro gol, su tacco di Dzemaili). A fine anno saranno venti, proprio come aveva detto Benitez in una delle prime conferenze stampa tra gli sguardi interrogativi dei presenti. 

Tra Callejon e il Napoli scoppia un amore viscerale e “diverso”. Perché lo spagnolo non è un fromboliere, un agitatore di folle, un incantatore di palloni e serpenti. No, il legame tra Callejon e il Napoli è fatto di azioni in due fasi, recuperi in difesa e veloci conclusioni in avanti. Fiato, applicazione, rispetto delle consegne. Benitez prima, poi anche Sarri si innamorano tatticamente di lui. Con il tempo, il Napoli e i suoi tifosi capiscono del perché Mourinho, a Madrid, in mezzo a tanti campioni, si sia fatto sedurre dal ragazzo che nasce attaccante e poi diventa un qualcosa di indefinito. Sarri, durante questa stagione, in ogni occasione possibile, ha sempre riferito quanto Callejon sia «un calciatore fondamentale per questo Napoli, perché ci permette di giocare così».

Per “così”, il tecnico degli azzurri intende la possibilità di giocare con intensità offensiva senza scompensi dietro; intende uno sbilanciamento quasi continuo nella creazione del gioco sulla fascia sinistra, dove risiedono Insigne, Hamsik e Ghoulam. Questa è, insieme, una scelta e una conseguenza: perché se da questa parte ci sono i calciatori che sanno tenere meglio la palla attaccata al piede (il gioco nello stretto di Insigne, ma anche la maggiore qualità assoluta di Ghoulam e Hamsik rispetto ad Allan e Hysaj), dall’altra parte nessuno riceve i ribaltamenti e indovina i tagli e indovina gli inserimenti come José Maria Callejon. Anche se quest’anno ha segnato meno (in campionato, perché se consideriamo tutte le competizioni siamo a 12 gol, la stessa cifra finale della scorsa stagione), il contributo in fase di conclusione è comunque fondamentale. Lo abbiamo visto qualche ora fa, contro il Verona. Il Napoli gioca più in verticale, abilita i cambi di gioco per superare il blocco di densità dell’Hellas, e Callejon fa il bello e il cattivo tempo. Tutte o quasi le occasioni della partita “vera”, vale a dire del primo tempo, nascono da una sua apertura sull’ala o da un suo taglio alle spalle della (pessima) linea difensiva di Delneri. Il gol nella ripresa, da centravanti, va derubricato dalla partita perché è una roba fuori da un contesto di gioco reale. Però dice tanto, e tanto altro ancora, sulla capacità di Callejon di leggere una situazione di gioco in area avversaria.

Ieri è stata la sua partita in una stagione che per i tabellini non era la sua, e non poteva esserlo con questo Higuain. È un po’ il suo destino, ci sarà abituato. Ma forse, per lui va bene così. Gli attestati di stima degli allenatori, quelli di chi guarda e vive di calcio e forse ne capisce un po’ di più di chi legge solo gli almanacchi e la classifica cannonieri. Giovanni Galli, nel postgara di Mediaset Premium di ieri, ha addirittura eletto Callejon a «miglior calciatore del mondo nella capacità di inserimento». Un’esagerazione, certo. Ma non molto lontana dalla realtà. Ci voleva una stagione così anche per lui, dopo la crisi che lo ha colpito nella seconda parte dello scorso campionato. Il solito inizio a spron battuto, poi un lungo letargo e prestazioni incolori e zero gol segnati, prima di un’effimera resurrezione finale. Il primo, unico, periodo negativo di José Maria sotto il Vesuvio in un triennio assolutamente splendente. Destinato a continuare anche se a ogni sessione di mercato si fanno nomi di grandi club interessati a lui. Il Napoli avrebbe potuto venderlo per una grossa cifra in tutte e due le sue estati da calciatore azzurro, ma ha deciso di tenerlo. Forse, la scelta migliore. Per lui, per noi. Perché un suo destino sarà forse quello di rimanere nell’ombra dei grandi cannonieri o dei grandi giocolieri, sì. Ma a volte anche un luogo può essere un destino. E quello di José Maria Callejon, forse, è ambientato proprio a Napoli.

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