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Italo Alloggi scrive a Mancini: il Napoli le deve delle scuse. Sarri pagherà, come è giusto, ma lei ignora Beccaria

Italo Alloggi scrive a Mancini: il Napoli le deve delle scuse. Sarri pagherà, come è giusto, ma lei ignora Beccaria

Gentilissimo signor Mancini, 
Le scrivo questa lettera aperta attraverso il Napolista per scusarmi con lei. Avremmo dovuto farlo, noi del Calcio Napoli, già in diretta tv ieri sera, quando stava già partendo il processo mediatico a Maurizio Sarri per gli insulti indifendibili e inaccettabili che le sono stati rivolti. Il nostro allenatore, forse mal consigliato nella foga del momento, avrebbe dovuto porre le sue scuse in modo inequivocabile e incondizionato, dirsi pentito, e chiarire in modo netto che quelle parole non appartengono al suo modo di pensare. Lo farà sicuramente, intanto accetti le mie. Senza se e senza ma. Il secondo errore di Sarri è stato parlare di “cose che devono rimanere in campo”. Ha richiamato un codice, cosa che in certi contesti fa un effetto macabro. Eppure credo che quel codice esista, credo che ve lo siate dati voi del calcio. Sono certo che se fa uno sforzo ricorda cosa accadde all’Olimpico una quindicina d’anni fa, alla fine di Lazio-Arsenal. Vieira accusò Mihajlovic di aver pronunciato parole razziste. Lei, che di Mihajlovic è amico, minimizzò. Disse che “sono due ragazzi intelligenti, credo che possano superare e tensioni e finirla”. Cose che succedono, pare di capire che lei intendesse dire. A rileggerla per intero la sua frase si capisce meglio: “Nel corso di una partita l’agonismo esasperato può portare a momenti di tensione e di grande nervosismo. Credo che anche qualche insulto ci possa stare. L’importante è che tutto finisca lì”. Non chiese la messa al bando dal calcio di Mihajlovic, che qualche altro problema l’aveva avuto. Prevalse in lei la logica della fazione sull’urgenza della denuncia. Io le scrivo per dirle che rifiuto, e come me tanti napoletani, questa logica dell’arroccamento, del gruppo, della difesa del fortino con i propri colori. Non difenderò una persona che è nel torto solo perchè ha la maglia del mio colore, sebbene il calcio sia abituato a questo. Sono certo che ricorderà cosa accadde intorno alla sua squadra, di certo lei si sarà sentito mortificato come ieri il 28 novembre 2005, lei allenava già l’Inter, l’altra Inter, quella forte, quando dalla sua curva per tutta la partita giunsero insulti irriferibili, e buu razzisti, sul capo del calciatore Zoro, del Messina. Lo ricorderà. Zoro voleva lasciare il campo, chiese all’arbitro di sospendere la partita.

Il calcio è un veicolo di stress. Certe volte la testa parte. Non mi dica che non lo sa, non mi dica che non le è mai successo. Sono sicuro che lei stesso saprà cosa intendeva dire Sarri, se solo ricordasse il parapiglia del 20 febbraio 2000, e lei ancora giocava, con la Lazio, quando alla fine di una partita con il Milan per una storia di rigori venne quasi alle mani con Galliani, e Galliani andò in tv per dire: “Non è successo niente”. Il codice. Sono certo che le tornano alla mente gli insulti irriferibili che lei rivolse una volta all’arbitro Rosetti negli spogliatoi. Irriferibili anche nel senso che nessuno ce li riferì. Oppure quando insultò Paparesta e Bettega, dopo un Inter-Juve del 2006, per non dire della famosa scena datata 1995, lei che per tre minuti dice chissà che cosa all’arbitro Nicchi, di certo lo chiamò disonesto, non riuscivano a portarla via. Che cosa fanno in Inghilterra a uno che si comporta così? I giornali scrissero: “Atteggiamento da bambino capriccioso”. A lei saltarono i nervi, i suoi compagni non la presero bene. Invernizzi disse: “Mancini è troppo nervoso, deve calmarsi”. Salsano, che è suo amico, dichiarò: “Tutti gli episodi controversi capitano a lui”. Tutto a lei, Mancini. Nel coperto dei tunnel casca l’ipocrisia del calcio. Chissà se si ricorda di quella volta che inseguì fin là sotto Conceicao, il giorno di una partita della Lazio contro il Perugia, quando Cosmi dalla panchina vi gridò un forza Roma, ci fu un accenno di zuffa, e Cosmi vi diede dell’attaccabrighe. E quell’altra volta ad agosto? Era il 1991. Lei era il 10 della Samp. Prendeste tre cartellini rossi in due amichevoli. Ve la prendeste con Erwin Koeman del Psv, c’era una vecchia ruggine con il giocatore olandese, risalente alla Coppa delle Coppe di tre anni prima. Furono scintille, schiaffi, calci, insulti, minacce. Ero in tribuna, lei disse alla fine: “Koeman per tutta la partita ha sputato verso di me e verso Vialli. E’ davvero uno stupido”. Certo, quante ne ha viste lei, Mancini. Ne ha viste davvero tante per non sapere che si può sbagliare, è nel percorso di un uomo, si sbaglia e si paga.

Lei ha spesso sbagliato e ha spesso pagato. Qualche volta ha sbagliato e non ha pagato, come quando sbrigò con il termine “sfottò” gli striscioni di insulti razzisti ai napoletani esposti a San Siro. Al rientro a Milano si faccia riferire cosa scrisse un nobile figlio di quella gran città, Cesare Beccaria, nel suo “Dei delitti e delle pene” e lo colleghi all’allontanamento definitivo dal calcio che lei ha invocato per Sarri. Lei ha decretato una specie di pena di morte professionale. Beccaria sosteneva che una pena non deve essere una violenza gratuita, ma dettata dalle leggi, sprovvista di personalismi e sentimenti irrazionali di vendetta. Per questo esistono i giudici. Lei di Sarri è rivale, è parte offesa, non il giudice. In tv contro Sarri si è scatenata la tortura, lei sa che per Beccaria “l’infamia è un sentimento non soggetto né alle leggi né alla ragione, ma alla opinione comune. La tortura medesima cagiona una reale infamia a chi ne è la vittima”. Sarri ha sbagliato e pagherà. Deve pagare. Sconterà la sua pena, poi avrà diritto a riprendersi il suo posto, la sua dignità. Lei intanto accetti le scuse, le sue, le mie, di tutti. Sarebbe un peccato scoprire che una questione seria, vera, sopra le bandiere, come il razzismo o (sarebbe stato meglio dirlo meglio) i diritti civili delle coppie omosessuali, siano strumentalizzati per un’antipatia personale, per gelosia, per rivalsa, per un calcolo sulle conseguenze che questa storia potrebbe avere sul futuro del campionato. Sapendola persona seria e di sani principi, escludendo che lei abbia pensato “ora vado in tv e lo rovino”, mi aspetto di vederla presto al mio fianco nelle lotte contro la discriminazione, di genere, di etnia, di territorio, di religione, specialmente se come leggo lei presto diventera l’allenatore della nazionale, la squadra della federcalcio di Tavecchio. La abbraccio forte.

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