Ventotto anni soltanto eppure sembra un tifoso navigato, tanto da definirsi “consapevole”: «Ho iniziato a seguire il Napoli da piccolo, quando la squadra era in serie B. Ho vissuto il fallimento, poi la creazione della Napoli Soccer. La mia consapevolezza è diventata passione man mano che squadra e società crescevano. Per questo mi reputo tifoso di questo Napoli e non di quello di Maradona e sorrido quando si fanno paragoni tra i due. Anzi, un po’ mi dà anche fastidio».
Vincenzo Daponte è originario di Minori, in provincia di Salerno, viene dalla “sempreverde” costiera, «come i limoni che la caratterizzano», dice. Vive a Ferney-Voltaire, un paesino vicino Ginevra, dove è dottorando all’Università di Ginevra: svolge il suo lavoro al Cern, nell’ambito dell’esperimento CMS. Di Minori gli manca il mare, andare a mangiare a casa delle nonne, il giardino di casa, fatto a terrazzamenti di limoni, «andare a cogliere i fichi, uscire la notte a pescare e fare il bagno all’alba, fare la spesa nelle ‘puteche’: il salumiere, il macellaio, il fruttivendolo. Mi manca il caffè al bar, uscire a cena con gli amici (ormai tutti o al Nord o all’estero), la colazione col babà. Mi manca il barbiere: vado a tagliarmi i capelli solo lì, qui non mi faccio toccare da nessuno». Eppure, racconta che, dal suo arrivo al Cern, non ha mai avuto intenzione di tornare in Italia, nonostante le numerose proposte di colloqui: «Il tenore di vita che posso avere qui da studente non potrei averlo da nessuna parte in Italia, e non avrei le stesse possibilità e neppure la stessa considerazione professionale».
Parla di Ginevra come di una città in cui la società è organizzata “a livelli”: «Più guadagni e più puoi aumentare la qualità della vita: avere una casa migliore in un quartiere migliore, scuole migliori, locali migliori, compagnie più elitarie, ecc.». La racconta come una città molto tranquilla, con tanto verde, dove non si mangia troppo bene – quasi tutti i piatti sono a base di formaggio e carne – e dove per mangiare qualcosa di decente si spende tantissimo, ma con birra ottima e di ogni tipo: «Per ovviare alle mancanze dei ristoranti cucino molto a casa. Ho anche aperto un canale di cucina su YouTube per condividere questa passione con le persone che mi stanno intorno». L’assenza di una piazza in cui ritrovarsi fa sì che la gente, a Ginevra, frequenti soltanto il proprio piccolo circolo di amici: «La comunità italiana è molto grande ma le persone non si incrociano facilmente. E comunque gli italiani non sono molto inclini a fare gruppo all’estero, quasi cercano di mimetizzarsi. Molto meglio portoghesi, spagnoli e francesi, che amano fare ghetto, riunirsi, rafforzare il loro senso patriottico».
Vincenzo ha una teoria molto precisa sull’essere tifoso del Napoli: «Penso che essere tifosi oggi di questo Napoli comporti una responsabilità in più che essere tifoso di qualunque altra squadra. Il tifoso del Napoli non può semplicemente essere tifoso come per Juve, Inter o Milan. Il tifoso del Napoli deve discernere tra tutto ciò che legge/vede e da solo deve capire (al netto della propria passione che a volte offusca il ragionamento) qual è il modo migliore di aiutare la squadra, perché il messaggio veicolato all’opinione pubblica nazionale sarà sempre a discapito del Napoli e di Napoli e allora, anche a costo di sembrare vittimisti o faziosi, bisogna aiutare l’ambiente a parare i colpi».
Nonostante sia ingegnere e lo caratterizzi un approccio estremamente razionale, spiega che quando c’è di mezzo il Napoli diventa un bambino: «Quando gioca il Napoli sono ‘elettrificato’».
Secondo lui è sbagliato pensare che il Napoli debba essere una sorta di locomotiva trainante della rinascita della città: «Innanzitutto sarebbe molto imprudente legare una cosa così importante come le sorti di una città e dei suoi abitanti ad un fenomeno così instabile qual è il calcio. E poi sarebbe controproducente per il Napoli stesso, si caricherebbe una squadra di calcio di una responsabilità che non può sopportare (succede in Spagna con il Barça per la Catalogna, e l’Atletic Bilbao per i paesi Baschi, ma parliamo di ben altra società). Semmai deve accadere il contrario: è Napoli con la sua crescita che deve trainare la Società».
La sua prima volta al San Paolo, che considera “un’arena di amore” è stata nel 2006, per Napoli-Treviso 4-2: «Ero seduto nei distinti sopra Dalla Bona quando ha segnato di sinistro al volo. La cosa che ricordo meglio è l’emozione di quando, al termine delle scale, entri sulle gradinate e vedi il terreno di gioco. È come essere sott’acqua al mare, quando stai risalendo ma hai quasi finito l’aria, poi ti affacci sul varco che dà sul San Paolo ed è come uscire fuori dall’acqua col fiato corto. Ricordo tutto, l’elicottero che sorvolava Fuorigrotta, le nuvole in cielo, il caldo che faceva, il goal di Grava e Reja che se la rideva in panchina». Da lì in poi ha assistito solo a poche sconfitte: «Ogni volta che torno per Natale non si gioca!».
Il giocatore del Napoli che preferisce è Callejon, «uno che si mette a disposizione della squadra, che gioca con sacrificio, che corre sempre, anche se non segna» ma adora anche Hamsik: «Adesso è un vero centrocampista, fa la differenza, quando la palla passa dai suoi piedi la squadra aumenta il passo. E poi Jorginho, l’uomo giusto al posto giusto». Quando gli chiedo un pronostico per il campionato dice che la Juve finirà prima, noi secondi e l’Inter terza.
Mentre da noi è una splendida giornata invernale ma calda, a Ginevra ci sono 4 gradi e un freddo secco fuori. Vincenzo è tesissimo, elogia il gioco di Sarri e il pressing alto del Napoli, urla sul gol di Higuain, guarda il rigore anche se trema solo al pensiero, Marek gli sembra un mostro, oggi. Al gol di Higuain una piccola sfera di sole invade il salotto, mentre lui ci riporta, orgoglioso, il commento inglese dello streaming: «The most dangerous striker in italy right now». Si lamenta per i cori razzisti che si sentono distintamente. Chiede dove sia Mancini, adesso, e dove siano il salotto Rai e Severgnini, chiede se dobbiamo veramente far finta di niente. Ma ogni volta che si sofferma sui commenti degli inglesi va in visibilio. Il salotto si riempie di sole man mano che la partita va avanti e che i nostri gol aumentano. Finisce la partita in piedi «è come allo stadio, ad un certo punto non riesco a stare seduto, mi devo alzare». Si emoziona a sentire il coro dello stadio, dice che anche il sole illumina il boschetto dietro casa come se fosse uno spartito. Finisce 4-2 per noi con gli inglesi che non sanno più che parole d’amore dedicarci. «Io mi dedico un pomeriggio di riposo, il Carpi ci ha anche fatto un regalo! Grazie per avermi tenuto compagnia. Salutami il Napolista», dice. Prima di godersi un caffè napoletano, in tazzina di vetro.