Carissimo Monumento, ti scrivo ma non ti imbratto perché utilizzo l’etere non inquinato da virus calcistici che, come ben sai, fanno più male di quelli politici. Tutto è dipeso dal fatto che questa mattina mi sono svegliato e ho trovato che l’invasore, cioè il tifoso che non riesce a vedere oltre il suo naso e soggiace all’istinto passionale piuttosto che alla ragione, dopo i tre gol rifilati alla Fiorentina ha cambiato gli stracci che ha indossato in questi mesi e da critico implacabile che era – “via Benitez e tutta la razza sua” – si è trasformato in convinto e plaudente estimatore – “che bravo Rafa, ha indovinato tutto”.
Nessuna meraviglia, al di sotto del meridiano di Castelvolturno le cose vanno così e non c’è verso di cambiarle, ma non ci diamo per vinti e crediamo che sia giunto il momento di spezzare una lancia a tuo sfavore. Sì, la “s” è privativa e mi spiego. La tua professionalità è fuori discussione, la passione per i colori azzurri è egualmente al di sopra di ogni sospetto, ma, diciamo la verità, la competenza è rimasta terra terra. Nulla di nuovo sotto il cielo, ripeto qui – a beneficio dei frequentatori sempre più numerosi del tuo illuminato napolista che resta l’unica voce limpida in un coro di stonati che neanche la mitica Sister Act potrebbe educare al canto – un concetto alla base del nostro amicalissimo rapporto: con il calcio intrattieni lo stesso rapporto che io intrattengo con il sanscrito, lingua che in teoria potrebbe anche suscitare il mio interesse, ma con la quale non mi sono mai confrontato perché l’unica variante al napoletano da me prevista è la parlesia – l’esperanto misterioso ed intrigante dei maestri di musica perennemente all’inseguimento di un contratto che non arriva – con la quale mi esercito il lunedì mattina in galleria tentando di ascoltare gli ultimi frequentatori del mitico appunisco ‘o jammetiello che, per chi non lo sa, è l’avvertimento rivolto all’amico di parlare con prudenza perché il nemico, che nel loro caso è il collega che cerca di fregarti, ti sta ascoltando.
L’ho fatta troppo lunga, ma mi occorreva un respiro profondo prima di lanciare l’anatema: il napolista è stato tra i pochi, tra i pochissimi direi, a muoversi con lungimiranza e saggezza in questo difficile momento del Napoli. Messe le cose al loro posto, l’anatema si scioglie al sole dei gol e del ritorno al bel gioco e diventa pretesto per complimentarmi con te e la truppa per la lucida freddezza con la quale vi siete opposti all’invasore anche a quello che sa molto di grammatica ma pochissimo di calcio. L’apprezzamento non scaturisce dalla soddisfazione per le tre pallette rifilate alla Fiorentina, ma dall’esigenza di puntualizzare una verità antica come il mondo e che non appartiene solo al calcio: i conti si fanno sotto il lampione, cioè a giochi conclusi. Di questo Napoli – e, quindi, del rendimento dei calciatori, dell’allenatore e del presidente – parliamone a fine campionato., ora, per quanto possibile, manteniamo la barra diritta e navighiamo verso Wolfsburg tenendo nel massimo conto le raccomandazioni di Maurizio Gaudino, calciatore napoletano dai piedi buoni che ha fatto fortuna in Germania e fu nostro avversario quando il Napoli vinse, nel 1989, la Coppa Uefa, il quale ci ha intrattenuto su vizi e virtù dei nostri avversari. Ma non ci ha detto che sono imbattibili in una partita che dura 180 minuti. Calma e gesso, dunque, e se riusciremo a passare il turno, per carità, non vi azzardate a dire che è stato decisivo il lungo ritiro imposto dalla società. Al calcio, come nella vita, si vince per tre motivi: perché si gioca bene, perché si gioca male. O per sfortuna. E il Napoli quest’anno non si è fatto mancare niente.
Carlo Franco