Si chiama Raniero Virgilio e ci tiene che tutti capiscano che Raniero è il nome e Virgilio il cognome: «Mi chiamano sempre “RanieroVirgilio” per pudore di chiedermi quale sia il nome». Ha 39 anni, è sposato con Sara e ha tre figli: Alice (6), Maya (4) e Alexander (2). Non è solo il nome difficile da spiegare, ma anche il lavoro: fa il Test Lead in Skype, a Stoccolma, in pratica dirige giovani bravi e provenienti da una decina di nazioni diverse per assicurare e migliorare la qualità delle nostre applicazioni su smartphone Windows Phone (Lumia).
Anche il domicilio è complicato: la sua famiglia vive a Berlino, nel distretto di Steglitz, nella parte sud ovest della città, mentre lui lavora a Stoccolma, nel quartiere bohemienne di Södermalm; quest’anno ha festeggiato i 62 voli in un anno tra Berlino e Stoccolma.
All’estero, precisamente in Irlanda, a Limerick, si è trasferito sette anni fa, a pochi giorni dalla nascita della sua prima figlia. Dopo tre anni, è stata la volta di Berlino, poi, un anno fa, ha iniziato a lavorare a Stoccolma. È andato via da Napoli per curiosità: “La mia generazione è quella del vitto e alloggio pagato dai genitori e di un progresso da bradipo all’Università. Sara ed io avevamo un lavoro sicuro, mutuo sulla casa, auto e finesettimana col ragù dai miei o coniglio alla cacciatora dai suoceri. Mi è venuta l’ansia e ho dato sfogo all’arteteca”, racconta. Dice che vivere all’estero fa piombare in una complessa dimensione di perenne di irrequietezza, “che regala grandi emozioni ma che lascia sempre l’idea di essere stranieri”.
Con le sue origini e la sua città ha un rapporto problematico. Racconta che è stato Maradona a portarlo ad essere “un archeologo” del suo rapporto con la città”: “Vedere accreditate, per la prima volta, alla città, delle capacità, ha sciolto la rabbia; ho iniziato a guardare Napoli con occhi diversi, a darle una possibilità”. Poi di nuovo una fase di quasi odio quando è andato via, sette anni fa, e di nuovo un avvicinamento grazie al Napoli di Benitez: “Continuo a detestare moltissimi napoletani, ma ho trovato realtà interessanti cresciute in questo magma e il Napolista è sicuramente una di queste”, dice, e noi lo ringraziamo. Anche Berlino ha avuto un ruolo importante nel suo processo di autoanalisi: «È la mia “Atene dell’anima”, libera, in perenne mutamento ma con un costante lavoro sul passato, il luogo ideale per crescere i miei strani figli, che parlano italiano, tedesco e inglese, mangiano il casatiello e l’abendbrot, conoscono Higuain e l’Hertha Berlino. Un miscuglio che mi spaventa ma in cui ho fiducia».
Di Napoli gli manca il mare ma pensa che il sole sia sopravvalutato e che nella vita si dovrebbe provare almeno una volta l’Inverno con la maiuscola, quello che costringe in casa a calcolare i minuti che occorrono a spostarsi senza perdere l’uso delle mani. L’Inverno vero, per lui, è ciò che più di ogni altra cosa, in natura, si può accostare al mare: “Lo senti quando si avvicina e devi preparati ad affrontarlo, non puoi passarci attraverso se non sei pronto a farlo”.
La sua prima partita al San Paolo fu Napoli-Ascoli 3-0, nel 1987. Lo stadio, per lui, è un luogo che trasuda storia e che per questo andrebbe demolito e rifatto altrove: “A Napoli abbiamo bisogno di ricordare, ma senza essere schiavi del ricordo. Sono per lo stadio in un luogo inaspettato, magari a Scampia: sono Napoletani pure quelli, no?”.
Con il Napoli di Benitez ha un rapporto idilliaco: ammira incondizionatamente il professionista e ama l’uomo sin dal primo giorno. “Ha cambiato completamente la mia percezione del calcio – spiega – Mi ha dimostrato che a Napoli si può lavorare e si può vincere e che il lavoro ben fatto attira altro lavoro ben fatto e altre forze positive”. Il suo calciatore preferito? Gonzalo… Hi-gua-i-n!
Il suo rito scaramantico è l’amico Paolo, che vive a Londra e con cui discute del Napoli via Skype: «Una domenica di tanto tempo fa scrisse la sua famosa secciata propiziatoria pre-partita terminando il papiello con “Il Napoli perde 3-1, segnatelo” cui io risposi di fretta uno sgrammaticato “Seganto” che il correttore non trasformò in “Segnato”. Da allora, il giorno di qualunque partita, ad un preciso numero di ore prima dell’incontro, Paolo costruisce il papiello e me lo invia e io devo rispondere con “Seganto”». Il rito va avanti da anni, rispettato durante funerali, colloqui di lavoro e matrimoni. E poi ci sono i “tempi palindromi”: “Entrambi andiamo a correre il giorno della partita, o il giorno prima, ci cronometriamo, e dobbiamo fare tempi tassativamente palindromi. Un 45:54 va bene, ma un 45:55 porta in serie B. In generale, comunque, quando il Napoli gioca Raniero tende a fotografare la situazione e a fare in modo che nulla muti: “Il giorno di Napoli-Lazio 4-3 (2011) costrinsi mia moglie a rimanere in bagno per quasi tutto il secondo tempo, per evitare di introdurre perturbazioni negative nel cosmo”, dice che questo è il suo modo per “evitare il lettino dello psichiatra”.
Il problema, oggi, è che Sara ha fatto la pizza e per la prima volta non l’ha fatta anche bianca. E Raniero ha raccontato a noi del rito che condivide con Paolo. L’ordine dei fattori è scombinato e Raniero è nel panico. La paura corre sul filo dello streaming che salta e del wifi che salta pure lui. E di Koulibaly che con un errore tecnico banalissimo ci manda nel pallone. In Rafa we trust, ma lasciateci piangere in pace.
Ilaria Puglia