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Dall’estero, da lontano, il Napoli di Rafa stabilisce molto più di altri un linguaggio comune

Dall’estero, da lontano, il Napoli di Rafa stabilisce molto più di altri un linguaggio comune

Quando Lorenzo Insigne viene richiamato in panchina, dalla tv mi pare di intravedere la luce del tramonto su Napoli ancora viva. Qui, invece, a Stoccolma, la notte novembrina è già scesa, posso notare i fasci degli abbaglianti delle auto che si intrecciano fuori la finestra. A fine gara, mio fratello – da Parigi – mi confesserà che anche lui, come me, s’è alzato in piedi, nel mezzo del suo appartamento, ad applaudire il Magnifico. Come ho fatto io, mentre un occhio (probabilmente svedese, e sicuramente indiscreto) mi fissava stupefatto dal palazzo di fronte, a Södermalm, a pochi passi dal Mar Baltico.

Anche quest’ultima partita contro la Roma – come tutte, del resto – la seguo in diretta chat con Paolo, un mio caro amico. Vive a Londra.  Per tradizione segue la diretta testuale su qualche sito internet. Oltre ai precisi codici scaramantici e alle frasi propiziatorie ripetute a cadenze prestabilite per invocare il dio Gol, a volte gli descrivo qualche fase saliente – una verticalizzazione, una acrobazia, un coro. Ha una bimba, nata da poco, londinese, e tenerla in braccio gli offre un ottimo alibi per le lacrime che spesso questo Napoli sa tirarci fuori – “Ma che fai, piangi?” “No, è che gioco con la piccola”. Quando Callejon chiude i conti, mi scrive: “Ho le lacrime e mia figlia non sa ancora il perché. Spero per lei che un giorno mi possa capire”.

Ho imparato, dopo anni in giro per l’Europa, e varie frequentazioni di Bar dello Sport che riproducono fedelmente la Duchesca nel centro di Berlino, che tutti noi expat e tifosi ci sentiamo, nell’intimo, e con una inconfessabile gioia, dei novelli Fantozzi con birra gelata e frittatona di cipolle nel cuore, in perenne attesa di quell’Italia-Inghilterra che non vedremo mai, se non parzialmente, se non raccontata, se non amplificata, resa epica dalla lontananza.

Io non so se vivere all’estero aumenti il “rafaelitismo” delle persone. Sarebbe interessante poterlo appurare. So che, dall’estero, da lontano, il Napoli, questo Napoli, il Napoli di Rafa, stabilisce molto più di altri un linguaggio comune, una grammatica condivisa, una sintassi che pare tenerci uniti, da angoli remoti del mondo. Non è una fratellanza del sangue, non è l’origine ad accomunarci, non sono neppure I colori. È piuttosto la bellezza di questa squadra, persino i suoi repentini e crudeli alti e bassi, che ci attanagliano. Che ci invadono. E ci tengono assieme. Ed è così dolce sentire che questa bellezza, per una volta, e finalmente, così vasta e così disarmante, venga da Napoli.

Grazie.
Raniero Virgilio

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