Non si può prescindere. Se vivi a Napoli o, come noi, nella provincia dell’Impero, se hai un marito tifoso che ha comprato il 55 pollici solo per vedere bene bene da vicino vicino i dentoni di Hamsik e che per giunta si chiama pure Diego, se hai due figli maschi che non si fanno la cresta in testa solo perché i loro capelli biondi e sottili non la reggono, allora prima o poi tocca pur a te. Cioè a me. Andare allo stadio. Con i pupi in tribuna family. Nella controra di sabato, abitualmente dedicata al letargo post ragù. Che invece domani sarà dinamicamente dispiegata in una trasferta nel capoluogo, impiuminati e accappellati, con panini e coche nello zaino, sciarpe azzurre al collo e in tasca quei fattapposta che fanno rumore, perché, visto che ci vado, almeno facimm ammuina che così mi diverto anch’io.
Ma la partita non è una partita comune. È Napoli-Roma. E lo ha detto mica l’ultima delle mammolette, ma il questore di Napoli Guido Marino. È una partita che evoca fatti brutti. Che per prima fa venire in mente non l’immagine di ventidue guaglioni in campo che si passano o si scippano la palla, ma titoli di cronaca nera, mazzate, accoltellamento, morti. Ciro Esposito. Daniele De Santis. Filippo Raciti. Genny la carogna. Insomma non il calcio, ma le schifezze che lo hanno accompagnato, la violenza bestiale e assassina, l’ottuso e cieco livore che fa muovere bande di picchiatori con teste rasate e tatuaggi, che li lancia verso il “nemico” con le insegne della squadra avversaria. Napoli-Roma evoca coltelli e pistole, odio e vendette.
Non porterò i miei figli in questo mefitico humus, perché di romani domani non ce ne saranno, lo stadio è off limits per loro. Sarà dunque un tifo unidirezionale, napoletani pro napoletani, e non ci caveremo neanche il gusto di una pernacchia ai tifosi giallorossi, perché non ci saranno. Una partita asettica, purgata, dove al massimo qualche contestazione potrà essere indirizzata proprio agli azzurri in fase fetecchia. Meno male che toccherà al padre spiegare ai bambini perché ci siamo solo noi, io avrei parole troppo dure. Spiegare perché non è possibile fare ammuina tutti insieme, sfottersi e basta, sgolarsi e fare i cori insieme. Spiegare perché una partita di calcio, a volte, diventa un’altra cosa. Meno male che non tocca a me. Io sono la femmina, mi accomodo temporaneamente in questo ruolo atavico quanto mai adatto all’occasione, preparo i panini e li vesto pesante, il resto tocca all’uomo. Io non ho le categorie mentali per capire perché dovrò comunque convivere con un sottile e pervicace timore da quando usciremo di casa, quando arriveremo allo stadio, quando l’arbitro fischierà l’inizio, e che mi abbandonerà solo quando entreremo nella nostra auto, verso casa. Sani e salvi.
Giuliana Caso