La libertà di espressione e la libertà di De Laurentiis di andare allo stadio

Oggi il Corriere del Mezzogiorno, a firma Monica Scozzafava, scrive che domenica Aurelio De Laurentiis ha deciso all’ultimo momento di non andare allo stadio. «Erano stati predisposti (come sempre) – leggiamo – percorso e servizio di scorta. Insieme con la sua famiglia, invece, aveva visto la gara tra Napoli e Chievo in tv e in […]

Il bilancio del Napoli è sano

Oggi il Corriere del Mezzogiorno, a firma Monica Scozzafava, scrive che domenica Aurelio De Laurentiis ha deciso all’ultimo momento di non andare allo stadio. «Erano stati predisposti (come sempre) – leggiamo – percorso e servizio di scorta. Insieme con la sua famiglia, invece, aveva visto la gara tra Napoli e Chievo in tv e in serata raggiunto Roma in treno. Il clima a Fuorigrotta – prosegue Scozzafava – era effettivamente pesante: fischi e cori nei minuti finali della partita, quando la sconfitta era ormai acclarata e striscioni di contestazione. Uno, in particolare, palesava una minaccia bella e buona. “Se non sarà scudetto, sarà un anno maledetto”. Matrice ultrà. E poi una serie di scritte che si alternavano ai messaggi di solidarietà alla famiglia del ragazzo ucciso al Rione Traiano. I tifosi alzavano, forte, il polverone della protesta. La domenica bestiale allo stadio San Paolo non aveva risparmiato fischi a Benitez, improperi contro alcuni giocatori. Una crisi ambientale che si respirava in città già prima della inaspettata sconfitta col Chievo…». E ci fermiamo qui.

Insomma, come avevamo scritto ieri, il clima al San Paolo è brutto. Rimaniamo dell’avviso che lo striscione “Se non sarà scudetto, sarà un anno maledetto” avrebbe dovuto comportare una ferma e gridata indignazione da parte della cosiddetta società civile.

Ieri quest’articolo sul lento ma inesorabile arretramento della città nei confronti della mentalità ultras ha provocato – com’era lecito attendersi – tante reazioni. Tra cui quelle dei due diretti interessati, chiamati in causa nell’articolo. Maurizio de Giovanni e Guido Trombetti. Uno nei commenti, l’altro con un pezzo a parte. Entrambi piccati. Diciamo la verità, può dispiacere dal punto di vista personale (col rettore siamo abituati a scontri dialettici), ma la sostanza non cambia. De Giovanni scomoda addirittura i giacobini, che nella sua visione delle cose vuol dire ovviamente che noi tagliamo le teste. Addirittura? Con un semplice articoletto sul web. Siamo al surreale, per non dire altro.

Come conferma il pezzo del Corriere del Mezzogiorno (come vede, professore, ho ancora discreti sensori sociali), al San Paolo si respira un brutto clima. Al punto che il presidente De Laurentiis ha preferito guardare la partita a casa. Non merita uguale indignazione questa limitazione della libertà individuale? Oppure in nome della promessa dello scudetto (è un iperbole eh) tutto è consentito? 

Ma perché non ci si interroga mai sulle proprie responsabilità? Purtroppo il calcio non è più un gioco. Forse è un gioco per noi. Ma non per tutti. Per carità, la libertà d’espressione è sacrosanta (e scomodare l’Illuminismo è un po’ eccessivo), ma da parte di tutti. Ovviamente. Forse siamo giunti al momento in cui quella parte di città che riveste un ruolo dovrebbe approcciarsi pubblicamente al calcio non in veste di puro tifoso incazzato. Poi, per carità, ciascuno è libero di pensarla come crede. Ma il Napolista si fida delle proprie sensazioni, visto che allo stadio ci va in casa e in trasferta. Oltre al fatto che non condivide assolutamente l’equazione: “ha promesso lo scudetto uguale ora quindi se non vinciamo deve pagare”. Ma dove siamo?

Possibile che dobbiamo spiegare noi il clima che si respira in città? Dove improvvisamente il Napoli sembra essere diventato una valvola di sfogo dei bassi istinti, l’unica chance di riscatto che abbiamo. Il nostro Rollerball. Addirittura de Giovanni contesta la politica di non indebitamento del calcio Napoli. Insomma, per me siamo alla follia. Per voi no. Non c’è nulla di male. Solo una cosa: accusare più o meno velatamente me e il Napolista di fascismo (vogliamo dire autoritarismo?) è più o meno come dire, per chi mi conosce, che sono biondo e alto un metro e novanta.

È vero, il Napolista è nato come bar sport d’élite. Ma l’auspicio è che le élite approccino il calcio con lo stesso impegno intellettuale col quale affrontano le loro carriere. Per carità, emozioni e viscere sul Napolista non sono mai mancate. Ma anche il modo e, soprattutto, il contesto sono importanti. Altrimenti diventiamo uno sfogatoio. E non è questo il nostro obiettivo. Non dobbiamo certo spiegare a voi come il calcio in questo particolare momento storico non sia solo un gioco. I recenti episodi di cronaca e il rivendicazionismo sociale sono entrati a pieno titolo negli stadi. Non accorgersene è francamente lunare. Comprendiamo la voglia di giocare, per carità. E chi vuole negarla. Ma, per dirla alla Guccini, il gioco si è fatto peso e tetro. Inconsapevolmente, ci si ritrova a pensarla e a dar ragione a chi ha un’idea del calcio distante dalla nostra. Il Napolista non può smarrire la sua ambizione di divulgare cultura sportiva, di andare oltre la frustrazione del 90esimo minuto. Di provare a dire che anche a Napoli, se cambiamo atteggiamento, si può costruire e conservare qualcosa. Poi, per carità, non abbiamo la pretesa che siano tutti d’accordo. Ma ci sono degli spartiacque. Noi, oggi, ci indigniamo per quello striscione e crediamo che sia grave che un presidente rinunci ad andare allo stadio per timore delle contestazioni. Non so voi.
Massimiliano Gallo

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