Un altro giornalismo sportivo è possibile? Che fa la stampa per migliorare il calcio italiano?

“Quanto è scarso il campionato italiano”. Così si intitola l‘editoriale in prima pagina del Mattino firmato dal capo dello sport Francesco De Luca. E francamente possiamo anche essere d’accordo. Il giornalista si sofferma sul vuoto fatto da Juventus e Roma dopo appena cinque giornate di campionato e collega la condizione deficitaria del sistema pallone al […]

“Quanto è scarso il campionato italiano”. Così si intitola l‘editoriale in prima pagina del Mattino firmato dal capo dello sport Francesco De Luca. E francamente possiamo anche essere d’accordo. Il giornalista si sofferma sul vuoto fatto da Juventus e Roma dopo appena cinque giornate di campionato e collega la condizione deficitaria del sistema pallone al “vergognoso epilogo del Mondiale, alla squallida battaglia per l’elezione del nuovo presidente federale e al calciomercato senza grandi colpi”.

Non possiamo che convenire. Questo scrivemmo un mese fa, all’indomani di Genoa-Napoli, proprio per replicare a un editoriale di De Luca sul Mattino intitolato “Se il prof Benitez soffre il calcio italiano”. Articolo in cui si attingeva al cliché in gran voga a Napoli nell’ultimo anno, ossia Rafa non conosce il calcio italiano. L’amletica domanda posta da De Luca era: ““È Benitez che deve adeguarsi al calcio italiano o il calcio italiano a Benitez?». 

Ma non siamo qui a rivendicare primogeniture. Siamo qui per provare a dialogare. E chiediamo: se siamo d’accordo che il calcio italiano versa in uno stato deprimente, perché allora tanto ostracismo nei confronti di chi – pur tra tante difficoltà – sta faticosamente provando a introdurre una mentalità diversa? Beh, non rispondete “perché non vince”, altrimenti ci cadono le braccia. Una malattia non si cura dall’oggi al domani, ne siamo consapevoli. Una malattia spesso comporta l’abbandono di abitudini nocive, l’adozione di un nuovo stile di vita e in alcuni casi un periodo di crisi più acuta. 

Perché, allora, la stragrande maggioranza del giornalismo napoletano osserva e giudica Benitez con la diffidenza di chi è convinto di saperla più lunga? Perché quando è lo spagnolo a fare le pulci al nostro calcio (questo fece dopo la vittoria a Marassi, sottolineò gli eccessi del sistema pallone), scatta nei giornalisti il riflesso condizionato in difesa dello status quo? Solo perché lui qui è venuto ad allenare? E allora? Che vuol dire? Siamo tutti adulti e sappiamo benissimo che Benitez non avrà problemi a trovare una panchina dopo Napoli, anche se dovessimo arrivare dodicesimi e uscire al primo turno in Europa League. Sappiamo fin troppo bene che Benitez senza Napoli ha molte più chance di vincere di quante ne abbia Napoli senza di lui. 

Scriviamo questo per chiedere uno sforzo ai nostri colleghi. In questo tribolato inizio di stagione, Benitez si è più volte appellato alla stampa napoletana. Ha provato in tre conferenze stampa consecutive a spiegare quanto conti l’ambiente ai fini del raggiungimento del risultato. Beccandosi porte in faccia. Tra i giornalisti è scattato immediato l’irrigidimento, il richiamo alla deontologia. Come se spacciare le sue ferie per una fuga fosse il Watergate. Lo stesso Mattino all’indomani della conferenza stampa non ha trovato di meglio che chiudersi in una difesa corporativa.

Ma se questa è la reazione, quale può essere la funzione della stampa per provare a migliorare il nostro calcio? Svolge correttamente il proprio ruolo una stampa che prova ad assecondare quel che presume essere l’opinione dominante dei tifosi? Su questo abbiamo avuto una difformità di vedute con Maurizio de Giovanni. E non a caso ho usato il verbo presumere. Nessuno nega una disaffezione dei napoletani, basta guardare il dato degli spettatori al San Paolo. Va però sottolineato che esiste una ampia fetta – a nostro avviso maggioritaria – di silenziosi sostenitori dell’allenatore spagnolo e del progetto Napoli. Fanno meno clamore ma esistono. Eccome. Basti pensare che su un sito come il Napolista l’articolo del Ciuccio dell’altro giorno (“Perché non mollo Benitez”) ha avuto ben mille condivisioni (il che vuol dire che campeggia su mille bacheche di facebook). Non sono poche, credeteci. Mille persone che hanno detto: la penso come voi. Ma lo hanno fatto in silenzio e quindi solo per questo fanno meno rumore di cinque (cinque!) commenti sopra le righe. Noi sul web ci viviamo, tra noi c’è anche chi ha praticamente fondato il giornalismo sul web in Italia. Sappiamo quel che diciamo. È come quando si ferma un treno in aperta campagna. Sì, ci sono quei cinque o sei che lanciano le ipotesi più disparate ma la stragrande maggioranza resta in silenzio in fiduciosa attesa di ricevere informazioni attendibili da una fonte ufficiale. 

Ieri Repubblica aveva nell’inserto sportivo del lunedì una splendida intervista a Evra, ex Manchester United oggi alla Juventus. Parlava di tutto, soprattutto di razzismo, di spirito di corpo, di valori umani. Citava un discorso di Ferguson prima della finale di Champions: non parlò mai della partita. Vidic, arrivato anche lui dal Manchester, ha detto che i giocatori italiani sono disonesti, che in Inghilterra non è così. Insomma, se un altro modo di intendere il calcio è possibile perché non è possibile anche un altro modo di raccontarlo? Perché anche noi operatori dell’informazione non cominciamo a prendere le distanze dal risultato ad ogni costo e subito? Perché deridiamo chi prova a modificare un sistema che oggi tutti consideriamo malato e inefficace? Facendolo, tra l’altro, in nome di una presunta interpretazione del pensiero dei tifosi? La nostra non vuole essere una lezione, bensì un invito a un confronto. Abbiamo le nostre responsabilità se il calcio italiano è ridotto così. Perché non proviamo a cambiare qualcosa anche noi?
Massimiliano Gallo

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