C’era una volta Gonzalo Higuain, il re che Napoli continua ad aspettare

Diciamo la verità, siamo ben oltre i tre indizi di Agatha Christie. Siamo al tenente Colombo, che di prove ne accumula lungo tutta la puntata e lentamente, ma inesorabilmente, incastra il colpevole. Qui non si tratta di un delitto, per carità. Magari di una scomparsa. Dov’è finito Gonzalo Higuain? Non è un caso che nelle […]

Diciamo la verità, siamo ben oltre i tre indizi di Agatha Christie. Siamo al tenente Colombo, che di prove ne accumula lungo tutta la puntata e lentamente, ma inesorabilmente, incastra il colpevole. Qui non si tratta di un delitto, per carità. Magari di una scomparsa. Dov’è finito Gonzalo Higuain? Non è un caso che nelle ultime conferenze stampa Rafa Benitez si sia rivolto sempre a lui. Ha cominciato il giorno prima di Napoli-Empoli, con un passaggio che non è passato inosservato nel lungo discorso sul fatturato. «Per arrivare secondi e stravolgere la classifica del fatturato, devi avere un calciatore che segna cento gol in tre anni». Traduzione: datemi Cavani e vedrete. Non proprio un passaggio elegante, va detto. Probabilmente l’ennesima strada scelta per scuotere un calciatore – Higuain – che evidentemente non riesce a rispondere ad altre sollecitazioni.

E dire che nessuno – da trent’anni – è stato mai accolto come Gonzalo a Napoli. Trattato come un re. Sin dal primo giorno, quando venne circondato dai tifosi a Fiumicino. Un calore che strideva con la sua faccia stanca, lo sguardo forse un po’ stralunato di chi provava a capire che cosa stesse accadendo. Arrivò insieme con Reina che passò praticamente indisturbato. A lui, Higuain, sempre è stato riservato un trattamento particolare. È per lui l’olè più caloroso al momento delle formazioni, il suo nome è scandito con un tono decisamente superiore agli altri. Il San Paolo esplose quando per la prima volta gonfiò la rete in quello stadio. Sotto la curva A, contro l’Atalanta. Sempre in quella porta segnò il suo primo gol azzurro in Champions. Al Borussia Dortmund. Lui, lo scorso anno, timbrò il successo contro il Milan a San Siro.

Sembrava il nostro condottiero. Non c’erano dubbi che Napoli e i napoletani avessero scelto lui. Sì, qualcuno ci rimase male e tirò il fiato quando rinunciò a Roma-Napoli, partì dalla panchina per un risentimento muscolare. “Ha paura di una ricaduta”, si disse. Nessuna critica. Higuain non si tocca. Mai. Nemmeno dopo Dortmund, quando pure ebbe sul piede la palla dell’1-1. Anzi, il San Paolo lo adottò definitivamente quando lo vide piangere dopo l’inutile 2-0 all’Arsenal. La sera in cui i napoletani non volevano abbandonare lo stadio.

Il paragone con Cavani c’è sempre stato. “È più forte, no non è vero”. “Cavani se li mangiava, ma Higuain ha una tecnica superiore e poi gioca per la squadra”. Nessun napoletano ha mai avuto l’ardire di criticarlo. Mai. Anche quando avrebbe desiderato che Gonzalo prendesse la squadra per mano e la trascinasse. Non è quasi mai accaduto. È accaduto, invece, come faceva Cavani, che cazziasse i compagni, soprattutto il giovane Insigne. Non è mai stato messo in discussione Gonzalo, mai. Ha potuto sbagliare un gol a meno di un metro dalla porta, come contro il Catania, non è mai successo nulla. Ha ricevuto il trattamento di cui altri non hanno potuto godere: su tutti Insigne, ultimamente anche Hamsik.

Eppure… eppure è innegabile che in tanti, soprattutto quest’anno, da lui si aspettassero di più. Molto di più. Napoli non lo ha quasi mai visto. Si è acceso nel secondo tempo contro l’Athletic Bilbao, ha segnato un gol dei suoi, meraviglioso, poi quasi nulla. Se non quella dichiarazione alla fine dell’andata del preliminare: «Il Napoli non può restare fuori dalla Champions». Di lui ricordiamo i suoi vaffa evidenti al San Mames la sera delle papere difensive e dell’eliminazione. E i due rigori sbagliati contro Chievo e Atalanta nel silenzio e nell’incredulità generale. È tornato al gol, contro il Verona, letteralmente trascinato dal pubblico che lo ha invocato. Un attestato d’amore senza fine, per dirla alla Zeffirelli. Amore, va detto, che almeno sul piano dell’impegno non è stato sempre ricambiato. Quest’anno quasi mai. Sono state eccezioni, come a Firenze. 

E Benitez glielo ha detto. Una volta, due. Ieri sera, poi, forse per la prima volta abbiamo assistito a uno scambio di cortesie tra lui e Callejon. Nel primo tempo. José come al solito tagliava sulla destra e Gonzalo ha perso tempo per poi servirlo in abbondante fuorigioco. Il nostro 7, il torero oggi appannato, lo ha visibilmente mandato a quel paese. Non solo. Nel secondo tempo, sempre Callejon, ha preferito provare a entrare in area col pallone invece di prendersi la punizione dal limite per fallo su Higuain. Manca l’amalgama, direbbe quel tale. Higuain sembra essere diventato un corpo estraneo. «Deve capire che è il nostro leader, deve essere il trascinatore della squadra», ha detto Benitez sabato scorso.

Un ruolo che probabilmente non fa per lui. Non sono sue caratteristiche. Lo abbiamo visto anche al Mondiale. Higuain è un magnifico calciatore senza la necessaria grinta, cattiveria, quella che spesso fa la differenza. Non si fa forza, scuote la testa; non incita i compagni, impreca e inveisce. È così. Ma è tante altre cose, ovviamente. Una via di mezzo, però, va individuata. Higuain sembra uno che stia giocando per caso, sicuramente in un posto dove non ha alcuna voglia di stare. E non fa nulla per nasconderlo. Non va bene. Non solo per il professionista. Ma per la squadra. Perché poi siamo tutti uomini e anche se guadagnano tutti molto rispetto ai comuni mortali, tra di loro ce n’è uno che guadagna decisamente di più. E se non si impegna lui, possiamo comprendere cosa possano pensare gli altri. Insomma, è una spirale autolesionistica.

Non vogliamo fare paragoni che non starebbero in piedi. In passato anche un altro calciatore a un certo punto voleva andare via. Stipulò un patto col presidente: io ti faccio vincere la Coppa Uefa e tu mi lasci andare. Poi la storia andò come andò, il presidente non rispettò la promessa. Ma lui la Coppa ce la fece vincere. Forse la Coppa è troppo, ma almeno Higuain torni se stesso. Quel calciatore che mangiava il campo, che guadagnava metri agli avversari, che non sembrava avere la pancia da giocatore in disarmo. Lo sappiamo, il Napoli non è il Real né il River. Forse Higuain non lo sapeva, o non lo immaginava. Ma un calciatore che è stato sette anni a Madrid non può non avere la forza per invertire la rotta. Basta decidere di farlo. 
Massimiliano Gallo

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