Diciamo la verità, questa vicenda del presunto ritiro del Napoli è stata una pagliacciata. Tanto ridicola quanto emblematica. Da qualsiasi angolatura la si inquadri, presenta imperfezioni. E imperfezioni, va da sé, è un eufemismo. A lungo assente, praticamente quasi sempre quest’anno, dalla scena mediatica e spesso anche dagli spalti, Aurelio De Laurentiis irrompe nella vita del Napoli pochi minuti dopo una sconfitta e da cinefilo assume i panni del presidente del Borgorosso Football Club: parole forti nello spogliatoio e squadra in ritiro. Quello che il tifoso – versione con meno doveri e tantissimi diritti del cittadino – si aspetta: pugno di ferro; è giunta l’ora che questi viziatelli capiscano che cos’è la vita e che quest’allenatore la smetta di sorridere e impartire lezioncine sull’ambiente corredate da proverbi spagnoli.
RI-TI-RO! Si cambia musica. È passato questo messaggio domenica sera. Così è stato trasmesso da Sky Sport 24, così è stato recepito dalla maggioranza dei quotidiani e dei mezzi d’informazione. Ritiro punitivo. Il mai tramontato mazz’e panella versus i bamboccioni e il modello educativo scandinavo del signor Benitez. Il tutto è durato nemmeno dodici ore. E si è tramutato in un pernottamento a Castel Volturno, un allenamento mattutino non previsto seguito dal rompete le righe. Il ritiro è finito, andate in pace. È servito, pare, a far saltare lo shopping milanese programmato con le famiglie. Con grave danno dei negozi di via Monte Napoleone. Questa notizia dello shopping sfumato dovrebbe servire, almeno in parte, ad appagare la natura ritorsiva del signor tifoso: il ritiro non c’è stato, ma gli ha schiattato lo shopping.
E fin qui, se volete, abbiamo provato a ironizzare. Ahinoi, ancora una volta il Napoli ha dimostrato di non avere una strategia comunicativa. Non sappiamo, nessuno lo sa, che cosa sia realmente accaduto. E purtroppo non è affatto una novità in casa Napoli. Quel che però è apparso all’esterno è stato disarmante quanto la sconfitta di Milano. È stata raffigurata una società che agisce d’impulso, sull’onda di un’incazzatura che è giustificabile in un tifoso (il Napolista non è stato tenero con la squadra subito dopo la partita, per esempio) non in un vertice aziendale. Sono scene che funzionano nella cinematografia, dal Borgorosso alla Longobarda, ma che nella realtà producono un effetto boomerang.
Francamente non sappiamo che cosa sia più grave, se il ritiro è stato annunciato e poi ritirato o se, come spesso accade, il Napoli ha solo subito la comunicazione e di fatto era già previsto che i calciatori il lunedì all’ora di pranzo lasciassero Castel Volturno. L’immagine trasmessa nel post partita è perfettamente aderente a quella regalataci in campo durante i novanta minuti, con la mano sinistra che non sa che cosa stia facendo la destra. Ed è francamente poco efficace (per non dire altro) l’immagine trasmessa di una società che non gradisce i metodi libertari dell’allenatore peraltro sotto accusa sin dal primo giorno per non aver portato i suoi a marciare nei boschi. Una società che in questo modo, in un colpo solo, accredita quelli che Benitez non capisce il calcio italiano. Una società che, nel momento di difficoltà, rivela la sua natura di ditta individuale completamente dipendente dagli umori del padrone di casa.
Sulla partita ci siamo espressi. Lo ho fatto io, l’ha fatto il Ciuccio, lo ha scritto Carratelli. C’è poco da aggiungere e francamente c’era poco da ricamare. Ma se quel che è andato in scena dopo è una prova tecnica di ritorno al passato, allora vale la pena ricordare che in passato partite come quella di domenica sera a Milano erano la norma, la consolidata tradizione. Un Napoli cui tremavano le gambe al solo guardare l’immensità di San Siro. Capiamo tutto, per carità. Il clima in città è quello che è. Il papponismo si è fatto corrente di pensiero (anche perché il Napoli non ha opposto alcuna resistenza), al punto da essere raffigurato in una statua gigante in via San Gregorio Armeno (caliamo un velo pietoso sul dietrofront del bottegaio spalleggiato dai media all’insegna del “tutte quante amma campa’”). Ma non è dando gli uomini in pasto ai leoni che il pubblico si placherà. Comprendiamo lo scoramento, è anche il nostro. Però è anche responsabilità del Napoli (e parliamo del vertice, di quella che sembra una precisa scelta aziendale, non dei professionisti che lavorano in questo ambito a Castel Volturno) se la società si lascia travolgere dalla comunicazione. Se facessimo un giochino, scopriremmo che almeno quattro delle cinque notizie più discusse in città riguardo il calcio Napoli sono false. E ci siamo tenuti bassi. Ciò non toglie che lascino il segno. Sono fantasmi che si nutrono, si autoalimentano. E poi restano lì, non si dissolvono. Come dimostrano Mascherano e il tesoretto, tanto per fare due esempi. Potremmo farne tanti altri.
La pantomima del ritiro è stata la degna conclusione di una domenica da dimenticare. Ma che si riproporrà se la catena decisionale non verrà corretta. Il Napoli ha bisogno di una sterzata in ogni suo ambito. A ciascuno, però, il suo. Almeno fin quando ci sarà un contratto. Vale per l’area tecnica così come per la comunicazione. Le incursioni alla Borgorosso Football Club infiammano alcuni animi ma servono a ben poco, se non a consolidare l’idea che ci si è infilati in un’impresa più grande di noi.
Massimiliano Gallo