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Un passo indietro ma siamo terzi. Positiva la rabbia di Benitez che non cerca alibi

Tre a tre in casa contro il Cagliari e Napoli che si fa rimontare due reti. Come col Palermo. Come con l’Udinese lo scorso anno. Come con la Juventus quando segnò Pandev, se è per questo. O come contro il Catania di Montella. Vabbè, ma fermiamoci a ieri. Un tre a tre che segna una battuta d’arresto per il Napoli che veniva da due vittorie consecutive in campionato contro Roma e Fiorentina. Un tre a tre che ha ridato corpo ai fantasmi del passato, con una difesa che è parsa di nuovo insicura e tutt’altro che impenetrabile. Un tre a tre che, comunque, lascia il Napoli al terzo posto. Al termine di dodici giornate nel corso delle quali gli azzurri sono spesso stati definiti in crisi, senza personalità, tutto sommato deludenti.

Benitez, come ormai dovremmo avere compreso, non rinuncia agli avvicendamenti in ossequio al suo data base sui minuti giocati dai calciatori. E così, oltre alle assenze forzate di Insigne, Mertens, Jorginho (Zuniga ormai non lo contiamo più), il tecnico madrileno lascia in panchina Albiol e David Lopez. Entrambi fino a qualche settimana fa considerati i buchi neri del Napoli; da ieri, invece, calciatori cui non si può rinunciare, sempre secondo i soliti esperti ovviamente. Come preannunciato in conferenza stampa, Benitez non rinuncia al 4-2-3-1 e schiera Hamsik a sinistra; dietro Higuain, si muove De Guzman. 

Il Napoli comincia benino. Non benissimo. E va in gol grazie a una clamorosa ingenuità della squadra di Zeman. Assist da rimessa laterale di Ghoulam e gol di Higuain. Non è il Napoli delle migliori occasioni. Lo si capisce. Non ci sono quei primi venti minuti di Napoli-Roma che Zeman ha definito lo spezzone più bello di calcio italiano giocato quest’anno. Il Napoli prova un’esibizione in cui ancora stenta: vincere una partita senza meritare, riuscire a portare a casa un match d’esperienza.

E così nemmeno il 2-0 basta. In certe occasioni, occorre mostrare una sicurezza granitica che col passare dei minuti toglie energie e speranze negli avversari. O magari essere implacabili, come quando Higuain ha la palla buona per il 3-0 ma preferisce rientrare sul sinistra anziché calciare in diagonale entro l’area. Pochi minuti e il Cagliari segna, bucando sulla destra dove si era spostato Hamsik sinistra. Il gol restituisce vigore ai sardi. 

Il Cagliari corre tanto. Ekdal è cresciuto tanto. Cossu non offre punti di riferimento. Il Napoli non è puntuale nel giro palla, anzi è arraffazzonato e davanti non punge. Callejon non ha mai dato segno della sua presenza; Higuain si è messo in mostra nel primo tempo anche per qualche recupero, poi però si è progressivamente spento. Là davanti il più in palla è parso De Guzman, anche lui fino a qualche settimana fa oggetto misterioso della nostra campagna acquisti.

Secondo tempo, pronti via e il Cagliari pareggia. Rete quasi da oratorio. Il Napoli sbaglia tutto quel che c’è da sbagliare su una punizione a due con cross al centro. La squadra non è concentrata si vede. Comincia a scendere sul San Paolo quell’inconfondibile atmosfera quando le cose volgono al peggio. Ci pensa de Guzman a distrarci dai cattivi pensieri. E lo fa con un colpo di testa non semplice su cross perfetto di Maggio. In precedenza, Hamsik si divora il 3-2. Un gol che avrebbe fatto comodo al nostro capitano, e non solo a lui. Un calciatore che pare non credere più nei propri mezzi.

Il 3-3 è l’autolesionismo calcistico. Un giro palla che porta Higuain a cambiare gioco e a darla a Maggio che sbaglia l’appoggio a Henrique che quindi la restituisce a Rafael che l’appoggia maldestramente a Koulibaly che azzarda un dribbling su Ibarbo. Bye Bye. Tre a tre. Il resto è un’attesa del triplice fischio finale. Su cui sono piombati i fischi del San Paolo. Incomprensibili e inaccettabili per chi scrive. Ma non ci dilunghiamo, abbiamo già espresso il pensiero tante di quelle volte.

Alla fine il più incazzato era Benitez. I solti noti addebitano a lui le responsabilità del mezzo passo falso (non risultato utile consecutivo in campionato). Perché il giochino ormai è questo: quando pareggiamo, è colpa sua; quando vinciamo, è lui che si è adeguato al calcio italiano. Ma anche di questo abbiamo scritto a sufficienza. Ormai è chiaro che il teatrino proseguirà all’infinito. Un altro allenatore si sarebbe appellato alle assenze, ovviamente non lui. Alla faccia di chi scrive che non si assume le proprie responsabilità. Siamo sempre su livelli siderali e sconosciuti per l’ambiente del nostro calcio.

Detto questo, sicuramente è stato un Napoli non all’altezza delle ultime esibizioni. Che ha mostrato amnesie che speravamo (anche ingenuamente) di non rivedere più. Il Napoli deve migliorare la tenuta mentale. Quella che riesce ad avere nelle partite che contano. È il salto più difficile da compiere. Richiede consapevolezza (di sé e dei propri obiettivi), maturità, abitudine alla concentrazione (particolare non da poco). Ingredienti che trasformano una buona squadra in una squadra vincente. Ingredienti che non si somministrano col solo schierare i cosiddetti titolari ma che devono essere assimilati dall’intera rrrosa

Di certo non è stato bello rivedere il Napoli balbettante in difesa. Ma è vero – come ha detto Benitez – che il Napoli a fisarmonica non si è visto. Che non siamo stati lo stormo compatto visto contro la Roma e per larghi tratti contro la Fiorentina. Se lasciata a sé, la difesa probabilmente non sa e non può far altro. Il mezzo passo falso è stato un mezzo passo falso dell’intera squadra. Che si è trovata di fronte un Cagliari per nulla arrendevole, come al solito ben sistemato da uno Zeman meno garibaldino rispetto alla fama che proverbialmente lo accompagna. 

Il Napoli e l’ambiente tornano coi piedi per terra. Una terra nemmeno malaccio. Visto che siamo terzi e che siamo a un terzo della stagione.
Massimiliano Gallo

p.s. Bello lo striscione della curva B per il dolore di Aurelio De Laurentiis e il conseguente applauso del San Paolo. Per un attimo è parso che fossimo tutti compatti, spalla a spalla. È stata una bellissima sensazione. L’attimo fuggente. In cui ci siamo sentiti invincibili. I fischi finali ci hanno riportati alla realtà.

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