Quel gol di Clerici contro il Porto

Eravamo una banda consolidata di cronisti sportivi al seguito del Napoli. Il capofila era Ciccio Degni del “Corriere dello sport”, fantastico, magro e bruno, guizzante, che aveva giocato ala destra nella squadra rionale del Vasto, e giocava molto di più ai tavoli verdi del Circoli napoletani e nei casinò del mondo, driver di trotto ad […]

Eravamo una banda consolidata di cronisti sportivi al seguito del Napoli. Il capofila era Ciccio Degni del “Corriere dello sport”, fantastico, magro e bruno, guizzante, che aveva giocato ala destra nella squadra rionale del Vasto, e giocava molto di più ai tavoli verdi del Circoli napoletani e nei casinò del mondo, driver di trotto ad Agnano, battutista irriducibile, un motoscafo per amico e amico del sole e del mare da aprile a ottobre, un “Duetto” verde dell’Alfa Romeo per le trasferte, rapido resocontista delle vicende azzurre. Giuseppe Pacileo, grande barba, codino annunciato, patito di musica classica, e Romolo Acampora, segugio sgusciante negli spogliatoi, stivaletti da giovanotto elegante, formavano la coppia de “Il Mattino”. Ricordo Nino Masiello, scrittore finissimo sulle pagine di “Tuttosport” e un amore sviscerato per il teatro; Rosario Pastore de “La Gazzetta dello sport”, il più calmo di tutti e il più pignolo; Guido Prestisimone, alto e con un sigaro sempre acceso, breriano e strenuo difensore di tutti i calciatori del sud e del catenaccio come estrema arte del calcio. Altri si aggiungevano a quella compagnia di giro.

Vinicio ci guardava severo. Gli piaceva la nostra allegria, ma non lo dava a vedere, si fidava poco. Aveva giocato al calcio da padreterno e, da allenatore, ben conoscendo i molti vizi e le poche virtù dei calciatori e dei giornalisti al seguito, aveva sempre la faccia dell’inquisitore. Ma in quella stagione 1974-75 ci portò alla gloria del mondo perché attrezzò, allenò e condusse un Napoli fantastico contro la moda vigente del calcio “all’italiana”, una squadra votata all’attacco, irriducibile e battagliera, che si giocò lo scudetto contro la Juventus.

Ad arricchire quella squadra che l’anno prima aveva fatto il terzo posto, annunciandosi come novità assoluta in campionato, arrivarono Tarcisio Burgnich e Tonino La palma, un fedelissimo del “leone”, l’appellativo da giocatore di Vinicio, Peppiniello Massa autentico tric-trac all’ala destra e il saggio Rampanti che dava ordine a una formazione “elettrica”. C’erano già Birillo Orlandini e Salvatore “Ciccio” Esposito di Torre Annunziata a dare eleganza alla manovra azzurra, in porta Gedeone Carmignani “mani di fata”, l’insuperabile Peppe Bruscolotti in difesa, Canè il nostro bomber di cioccolato e Sergio Clerici, il gringo, che più di tutti interpretava la “voglia matta” di Vinicio.

Il “leone” strizzava la squadra con allenamenti mostruosi e autarchici, come l’andare su e giù sui gradoni dei “distinti” del San Paolo da togliere il fiato anche a uno scalatore di vette mondiali. Ma poi gli “ergastolani” del tecnico brasiliano, più tedesco che brasiliano però, alla domenica correvano leggeri e felici.

Eravamo in Europa, in Coppa Uefa, e ci toccò il Porto che, oggi, sarà ancora l’avversario del Napoli in Europa League. L’avevamo battuto al San Paolo con un gol di Orlandini e partimmo per il retour-match in Portogallo.

Oporto, nel nord del Paese, stava sulla riva settentrionale del fiume Douro, poco lontano dall’Atlantico, famosa per il Vinho do Porto spremuto dalle uve della valle del fiume. Era una città con quattro ponti, un quinto è stato costruito nel 2003. Si vantava di essere la “cidade invicta” perché aveva resistito ai mori e a Napoleone. Andammo a farla cadere col Napoli di Vinicio.
Il campo di calcio, una costruzione rotonda a cielo aperto, con poltroncine azzurre, era quasi in città. Si chiamava Estadio das Antas sull’Avenida Magalhaes. Non c’è più. L’hanno demolito nel 2004. Ora c’è il sontuoso Estadio do Dragao. I giocatori del Porto sono chiamati draghi.

Ad Oporto c’erano al seguito del Napoli alcuni tifosi nostalgici della monarchia. Si fecero 344 chilometri per raggiungere Cascais, a sud, dove era in esilio Umberto di Savoia. Noi rivolgemmo lo sguardo a nord e scovammo, a 30 chilometri, un affascinante richiamo: il casinò di Povoa de Varzim, centro balneare, roulette e baccarat. Lasciammo Vinicio ai suoi problemi di formazione e andammo a disperdere allegramente un gruzzolo di escudos portoghesi sul nero e sul 17 e cavalli.

In Portogallo Vinicio varò questa formazione: Carmignani; Landini, Orlandini; Burgnich, La Palma, Esposito; Massa, Juliano, Clerici, Canè, Braglia. Nel Porto giocava il peruviano Teofilo Cubillas, piccolo (1,73), ma con 71 chili di muscoli neri e compatti. Aveva 25 anni ed era nel meglio della sua carriera di goleador (alla fine 338 reti in 614 partite). Fu addomesticato da La Palma e dissuaso da Burgnich a combinare problemi per noi. Arretrò per sottrarsi alle marcature dei difensori e allora Juliano andò a girargli intorno per disturbarlo.

Vinicio faceva giocare Burgnich non più da “libero”, ma da difensore che doveva “far gioco” avanzando a centrocampo. Burgnich ne era estasiato. “Ho giocato a pallone a Napoli” diceva, mentre nell’Inter di Herrera era rimasto sempre rintanato dietro ai difensori a spazzare palloni.

Il Napoli cominciò fortissimo e Canè colpì un palo al 6’. I portoghesi centrarono la traversa con Abel (29’). Il Porto fu sorpreso da un Napoli aggressivo e audace. Carmignani fece buone parate. Lo 0-0 ci andava benissimo quando a 12 minuti dalla fine Clerici siglò il gol che strappò un urlo ad Enrico Ameri nella cabina dei telecronisti.

Fu un’azione semplice e in profondità. Quattro tocchi e fu gol. Carmignani rimise la palla in gioco con un lungo lancio, Braglia di testa appoggiò a Canè che servì svelto Clerici. Il gringo, senza avanzare troppo, col rischio di essere chiuso, mollò una “rasoiata” rasoterra sul quale il portiere Tibi si buttò in ritardo. Uno a zero.

Questo fu tutto e, in Europa, non eravamo mai stati così bravi. Poi, negli ottavi della Coppa Uefa, andammo ad impantanarci nel fango di Ostrava e demmo addio all’Europa.

In campionato, il Napoli arrivò secondo a due punti dalla Juve, “tradito” da Altafini e Zoff che Ferlaino aveva ceduto al club bianconero. Perdemmo lo scontro diretto a Torino infilati a due minuti dalla fine dal gol di Josè “core ‘ngrato” dopo che Juliano aveva pareggiato la rete iniziale di Causio e s‘era visto prodigiosamente annullare da Zoff il tiro che avrebbe portato in vantaggio il Napoli.
MIMMO CARRATELLI

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