Prove di asse Roma-Juventus (ma Garcia nicchia sul rinnovo) mentre il Napoli perde tempo con Piccinini

Mentre riempiamo le nostre giornate di critiche alla difesa e di dibattiti sul modulo, altre due squadre camminano nel futuro. Sono già nel 2015. Un passo avanti. La Juve marcia con la forza del suo terzo scudetto consecutivo, incontestabile e senza ombre. La Roma con l’entusiasmo dei nuovi progetti americani, l’ultimo dei quali lo stadio […]

Mentre riempiamo le nostre giornate di critiche alla difesa e di dibattiti sul modulo, altre due squadre camminano nel futuro. Sono già nel 2015. Un passo avanti. La Juve marcia con la forza del suo terzo scudetto consecutivo, incontestabile e senza ombre. La Roma con l’entusiasmo dei nuovi progetti americani, l’ultimo dei quali lo stadio modello Colosseo. Due realtà che hanno messo il presente al riparo da sorprese e allungano l’occhio oltre l’orizzonte. Ma la cosa più interessante è che nel futuro vogliono marciare insieme. O meglio, hanno cominciato a farlo.

Tra le pieghe della lunga intervista concessa a Sky (con la Gazzetta uno dei due santuari del calcio italiano), Pallotta ha piazzato una frase che poteva passare per oleografica ma che in realtà svela un progetto. “Sarebbe bello”, ha detto, “se la prossima finale di Champions fosse Roma-Juventus”. Assomiglia molto a un messaggio, un ponte lanciato verso Torino. In buona sostanza, Pallotta sta invitando Agnelli a riconoscerlo come unico interlocutore alla sua altezza all’interno del panorama italiano. Dichiara di aver scelto da quale parte intende stare, nella sfida lanciata dalla Juve nel nome della modernità. Pallotta sta dicendo ad Agnelli: non esiste oggi in Italia nessun altro binomio possibile che possa reggere sul piano internazionale, siamo circondati da nani, proviamo ad accelerare insieme. È un’offerta di alleanza lanciata con un linguaggio comune, il linguaggio di chi ha individuato una via per fare calcio generando profitti diversi e superiori rispetto a quelli del micromondo delle plusvalenze, delle comproprietà e dei bilanci creativi. Pallotta sta dicendo ad Agnelli: insieme saremo ancora più forti, e competitivi anche in Europa.

Ma insieme dove, insieme come? Insieme nelle battaglie in Lega, dove la Roma avrebbe in teoria un uomo della propria famiglia, Beretta, dirigente Unicredit, ma in realtà più vicino all’asse Galiani-Lotito; e dove la Juve è da qualche mese in minoranza, all’opposizione. Non sono sterili guerre di posizione. In Lega si discute di ripartizione di diritti tv e di regole da cambiare, soldi e regole, due pilastri del sistema. Insieme in quei settori la cui importanza strategica viene sottovalutata dagli altri, compresa la comunicazione. Insieme per scardinare resistenze e ostacoli, per mettersi alla guida del movimento. Insieme, in qualche modo, di sicuro, anche sul mercato. Pallotta sta dicendo ad Agnelli: abbiamo gli stessi piani di sviluppo, la stessa visione, gli stessi interessi; se gli altri sono un freno al calcio italiano, mettiamoci insieme per volare noi.

È questa la vera partita che il Napoli deve decidere di giocare, la sfida della modernità, fuori dal terreno di una società a conduzione familiare. In questo senso, la presenza di Benitez è già una garanzia: costringe De Laurentiis e Napoli a pensare in grande. Ma pensare non basta, se gli altri sono avanti. Occorre muoversi. Mentre si avviava a conquistare il suo primo scudetto da presidente, con i suoi collaboratori Agnelli individuava due rivali pericolose a medio termine: il Napoli, per l’energia del suo ambiente, per il timore che sa incutere il San Paolo alla squadra, e per i bilanci sani; e la Roma, per il suo business plan. Ed era, quella, solo la Roma che galleggiava con Luis Enrique. I potenti sanno scegliersi i nemici. Milano? In ritardo. E nel calcio d’oggi, più ritardo hai più ne accumuli.

Con il fair play finanziario alle porte, il calcio italiano è in piena mutazione di gerarchie. Ci vorrà poco, a chi si sarà attrezzato in tempo, a renderle a lungo immutabili. Il Napoli è dietro nei discorsi sulla disponibilità di uno stadio che generi profitti. È dietro nel campo della comunicazione, misurato l’abisso che esiste fra la capacità altrui di fare sistema e la nostra afasia, nostra nel senso di una città ormai afona, priva di una voce e di una rispettabilità nazionale. È dietro il Napoli nelle strutture da mettere a disposizione delle giovanili, non c’è confronto con Vinovo e Trigoria, il mito della scugnizzeria è rimasto tale. Non sono carenze di poco conto, ma sono sfide con cui De Laurentiis è chiamato a misurarsi se vorrà conservare un ruolo da protagonista sulla scena, se vorrà prendere la scia dell’asse Roma-Juve che si intravede.

C’è un granello invisibile però nella meravigliosa macchina delle idee concepita da Pallotta. Si chiama Rudi Garcia. Anche qui bisogna saper leggere tra le righe. Pallotta ha di fatto ammesso che Garcia ha rinviato ogni discorso sul rinnovo del contratto. Scade nel 2015, il francese ha congelato le proposte avanzate finora dalla proprietà della Roma. Tiene tutti sulla corda, fa battute (“Ho sempre la valigia pronta”), ha costretto Totti a esporsi (“Questo gruppo non deve cambiare, e il discorso vale anche per il mister”). Prima ancora che offerte dall’estero, che pure ci sono (Tottenham, Psg, Monaco), Garcia sta probabilmente valutando in cuor suo l’irripetibilità di una stagione simile. Vuole capire come si realizzano in termini concreti i discorsi di grandeur che sente fare. In fondo, l’estate scorsa gli hanno dato il benvenuto vendendogli tre titolari, di cui due (Marquinhos e Lamela) giovani, di prospettiva e presentati come le colonne della squadra futura. Se Garcia è il granello che può far inceppare la macchina romanista, Benitez deve essere la certezza di De Laurentiis. Ma un Napoli che non dovesse inseguire la modernità, finirebbe per perdere prima di tutto Benitez. Queste sono le sfide vere da guardare negli occhi, mentre riempiamo le nostre giornate di critiche alla difesa e a Sandro Piccinini.
Il Ciuccio

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