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Caro Diego, per favore, non tornare più

Caro Diego, ti scrivo per farti gli auguri di buon compleanno. Sì, lo so, è dopodomani, ma ti scrivo in anticipo perché non vorrei che ti passasse per la testa di farci una sorpresa, di prendere un aereo e venire a festeggiare qui da noi. Lo so come sei fatto, magari ti gira, prendi un volo all’ultimo momento, come quella volta a Mosca, e ti ritroviamo in tribuna a Firenze, a stappare champagne con Della Valle, come a Roma hai fatto con Pallotta. E noi ai tuoi piedi, come al solito, come sempre.
Non lo fare, Diego, dimostraci con i fatti quella cosa bellissima che hai detto, chi ama non dimentica, te lo ricordi? Se ami e non dimentichi, impacchetta Napoli nello scompartimento della memoria e lasciala lì, come promettiamo di fare noi con te. Te lo dico perché io quando sto male ti prego. Niente di grave, intendiamoci, ma se mi sale il mal di testa, a me basta dire: Diego, per favore, fammelo passare. E il mal di testa passa. Una volta è passato pure il mal di denti, prodigio ancora più grande. Un dio questo deve fare. Starsene lontano e farsi pregare. Cosa gliene può fottere a un dio della panchina del Napoli? E io non ho voglia di credere che tu sia come tutti gli altri, un mortale, uno come Malesani, uno come me.
Te lo dico perché ieri allo stadio è accaduta una cosa strana. Ci sono dei ragazzi allo stadio, Diego, che sperano di riaverti a Napoli, di riaverti con noi ogni giorno. Hanno cantato dei cori per te. Hanno cantato “un Maradona, c’è solo un Maradona” (che poi a essere precisi tutti sanno che in realtà ce n’è più d’uno, più d’uno perfino a Napoli), hanno cantato “Diegooo-Diegooo”, hanno cantato “Oh mamma mamma mamma”. Hanno fatto precedere i cori da un urlo che sembrava un latrato: “De Laurentiis, la senti questa voce?”. Erano un messaggio per il presidente, i loro cori. Un messaggio per lui prima ancora di essere adorazione per te. Ti vogliono qui, va’ capisci perché.
Molti non ti hanno mai visto. Sono ragazzi, Diego, perdonali. Lo si capiva dalle loro voci, da come cantavano “innamorato son”, una nota dietro l’altra, senza fermarsi a prendere fiato. I ragazzi sono così. Hanno sempre fretta. Quando sei tornato la prima volta è stata una festa bellissima, una notte di lacrime. Ma l’ultima, pochi giorni fa, è stata veramente triste. Sei arrivato e tutta l’Italia a dire cose fantastiche di te. Milano ti ha aperto i suoi salotti buoni, Roma ti ha fatto sfilare su un tappero. Roma e Milano, Diego, quelle che fischiarono il tuo inno. Manuel, un mio amico torinese, mi ha mandato un messaggi: “Scusaci, oggi l’Italia ha scoperto Maradona”. Ho capito che stavano provando a denapoletanizzarti, a darti una ripulita per abbracciarti. Ma vedi, Diego, a te poi scappa il gesto dell’ombrello. Perché tu sei così: brutto sporco e cattivo come noi. E dopo il gesto dell’ombrello quello sei tornato, l’icona di un mondo-altro da deridere e da offendere, te la ricordi quella canzone, Diego? Colerosi terremotati, ce la cantano ancora, sostengono non ci sia nulla di male, che è una cosa vecchia, così vecchia che viene citato Maradona, dicono così. Pensa: i ragazzi che fanno cori per te se la sono cantata da soli una volta, eh lo so, non ci credi, ma te lo giuro. Te lo giuro su di te. Sono ragazzi, te l’ho detto. Forse non sanno neppure di quella volta che dicesti: “Gli italiani chiamano terroni i napoletani per 364 giorni l’anno e adesso chiedono di fare il tifo per la nazionale”. Tu non avresti cantato colerosi terremotati, un dio non bestemmia, non è vero?
Ecco, Diego. Fallo almeno per loro, per questi ragazzi confusi. Non dire più che ti piacerebbe allenare il Napoli. Loro ci credono. Sono sicuro che qualcuno davvero creda che tu voglia tornare qui, peggio, sono certo che qualcuno creda che sia la soluzione giusta. Non lo è, Diego. Lo sai finanche tu, altrimenti a Roma saresti passato negli spogliatoi a salutare la squadra che porta il nome della tua città. Invece hai brindato con Pallotta, non ti sei neppure agitato su quella poltroncina quando Pandev s’è mangiato il gol. Hai fatto benissimo. Perché adesso sei un’altra cosa. Sei un dolce ricordo. Chi ama non dimentica, ma chi non dimentica ama in silenzio, da lontano. Spiegalo pure al tuo avvocato, Diego, che forse Napoli la conosci meglio di lui. Non venire a Firenze, non venire più. Non si fanno le sorprese, Diego, non si fanno mai. E fammi passare questo dolore dentro al braccio, sbrigati.
Il Ciuccio

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