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Weidenfeller, il Grava del Borussia Dortmund

“Roman, vieni che dobbiamo parlarti”. Ma Roman Weidenfeller, il portiere arrivato dal Kaiserslautern tre anni prima per prendere il posto di Lehmann trasferitosi all’Arsenal, sapeva già di cosa si trattava. Il Borussia Dortmund stava fallendo. Duemila cinque. Otto anni fa. I dirigenti avevano deciso di mettere in vendita i giocatori dallo stipendio più alto, per gli altri c’era all’orizzonte un taglio del 20% dell’ingaggio. Una serie di operazioni sbagliate avevano messo in ginocchio le finanze del club, l’unico in Germania a essere quotato in borsa. Fu un disastro finanziario il tentativo di acquistare l’hotel nel quale la squadra andava in ritiro. Un disastro economico fu la ristrutturazione dello stadio di proprietà (dal 1992) per i Mondiali di calcio che si sarebbero giocati l’anno seguente (costo 130 milioni). Un disastro, ancora, la mancata qualificazione alla Champions: una contrazione degli introiti per un’altra cinquantina di milioni. Le azioni in borsa crollarono dagli 11 euro dell’iniziale collocazione a 80 centesimi. La squadra rischiava il ritiro della licenza in Bundesliga e la retrocessione a tavolino. I conti erano così disastrati che il Bayern Monaco per alcuni mesi versò 2 milioni di euro al Borussia come contributo. Un anno prima, milleseicento chilometri più a sud, era fallito il Napoli.
L’uomo che stava provando a salvare il Borussia e che quel giorno chiamò Roman nel suo ufficio si chiamava Hans-Joachim Watzke. Aveva ereditato 125 milioni di debiti. Vendette l’hotel e cedette il nome dello stadio (Westfalenstadion) fino al 2016 a un’azienda di assicurazioni, Signal Iduna per 5 milioni l’anno. Chiese ai tifosi di acquistare prodotti del Borussia al merchandising ufficiale. A Roman propose il taglio dello stipendio. Il venti per cento in meno. Weidenfeller ripensò a tutta la strada fatta per arrivare fin lì. Nato a Diez, in Renania, aveva cominciato a giocare a calcio con lo Sportfreunde Eisbachtal, quando aveva soltanto cinque anni. Suo fratello maggiore Heiko era già nelle giovanili, il loro papà era l’allenatore. Roman voleva fare il portiere. La prima volta che andò in porta, la squadra perse 15-0. Avrebbe potuto cambiare ruolo per quel trauma. Non cambiò. A 15 anni era del Kaiserslautern, che lo aveva soffiato a Werder Brema ed Eintracht Francoforte. Contratto da professionista nel 1999, titolare in prima squadra nel 2001. Ma nel 2002 era già del Borussia dopo aver rifiutato il trasferimento al Werder. In tre anni era diventato il miglior portiere del campionato. Quando Watzke gli propone il taglio, veniva da 17 partite di campionato consecutive in cui la rivista Kicker gli aveva dato per 16 volte il voto massimo. Avrebbe potuto schioccare le dita e andare dovunque. Dovunque gli avrebbero affidato la porta. “Si prenda un paio di giorni per rispondermi”, gli dice Watzke. A Weidenfeller bastano due secondi. “Io resto qui, pagatemi quel che potete”. Nel 2008 arriva Klopp, ancora un po’ e si ricomincia a vincere, fino a diventare quello che adesso il Borussia è diventato. Dai giorni del fallimento e della rinascita alla Champions, lui c’è sempre stato. Il Grava di Dortmund.
Quando manca Kehl, come a Napoli mercoledì sera, è lui il capitano. “Ma io questa storia della fascia da capitano – spiegò un giorno alla Bild – non la capisco. Non è una fascia da capitano che ti rende più o meno rispettato dai tuoi compagni”. Klopp lo definisce “il miglior portiere del mondo mai convocato in una nazionale”. Weidenfeller ha una sua linea su questo punto. “Non ci aprirei un dibattito. Ho giocato per tutte le nazionali giovanili fino all’under 21, poi non sono più stato preso in considerazione. Non me la prendo. Ci sono due cose che per me contano più della nazionale: il Borussia e la salute”. Weidenfeller è anche un po’ napoletano.
Desmond Digger

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