Buon compleanno, Petisso. E sono ottantotto

Ed eccolo qua, in questo 28 di luglio, con i suoi rotondi 88 anni, proprio in questo giorno di una scadenza precisa, una bella domenica di compleanno, eccolo questo leone che si chiama Bruno Pesaola. Nato ovviamente sotto il segno del leone come Barack Obama e Usain Bolt, eccolo piccolo grande guerriero sopravvissuto a un […]

Ed eccolo qua, in questo 28 di luglio, con i suoi rotondi 88 anni, proprio in questo giorno di una scadenza precisa, una bella domenica di compleanno, eccolo questo leone che si chiama Bruno Pesaola. Nato ovviamente sotto il segno del leone come Barack Obama e Usain Bolt, eccolo piccolo grande guerriero sopravvissuto a un milione di sigarette che gli hanno intasato le arterie e affumicato i polmoni, quattro anni di andate e ritorni in quattro ospedali napoletani, un paio di interventi chirurgici, ma alla fine ha vinto lui, il petisso.
Non poteva andare diversamente perché il suo cuore grande, il suo cuore azzurro di napoletano nato “casualmente” a Buenos Aires il 28 luglio 1925, è stato più forte, anche le due volte in cui Bruno ha visto la morte con gli occhi, (“Ho visto la porta nera”), ma alla morte le è scappato da ridere quando ha visto la faccia di Pesaola, la faccia allegra di un uomo generoso e divertente, e lui l’ha incantata con un paio di aneddoti sul calcio, come solo il petisso, gran favoliere del football, sa raccontare.
Eccolo, dunque, nella sua casa di via Manzoni che affaccia sullo stadio San Paolo, e su quale altro panorama potrebbe affacciarsi la casa di uno che ha vissuto e raccontato il calcio da quando giocava con Di Stefano nelle giovanili del River Plate e ha poi attraversato tutto il calcio italiano da quel 5 agosto 1947 quando scese da un aereo a Ciampino e aveva i baffetti neri e i capelli nerissimi di bel morettino, con la brillantina, e addirittura un sombrero in testa, il suo arrivo in Italia per non andarsene più una volta che scelse Napoli, nel 1952, a 27 anni, la sua scelta d’amore con la bellissima Ornella Olivieri, la donna della sua vita venuta a mancare troppo presto.
E anche se gli anni sono tanti, c’è da scommettere che anche stasera, come in tutte le sere passate con lui, faremo tardi, bevendo (però moderatamente) il solito whisky, e lui accenderà una ideale sigaretta, che da quattro anni non ne stringe più una tra le sue dita gialle da cinese del fumo, e comincerà a raccontare la sua vita nel calcio indissolubilmente legato a questa città che lo ama dello stesso amore che lui ha per Napoli.
“E alora ve racconto” cominciano sempre così i suoi stupefacenti monologhi, e guai a interromperlo, si incazza, “ma che ne sai tu, io so”, e fa la faccia furba, e allarga la bocca “a salvadanaio”, e brillano di ricordi i suoi occhi, e racconta, racconta, con quella sua cantilena castigliana, un fiume di ricordi, e “basta con questa storia del cappotto di cammello che ora te la racconto io la vera storia di quel cappotto”. E siamo lì che lo guardiamo amorevolmente e gli vogliamo un gran bene perché a un uomo come Bruno Pesaola anche le pietre vogliono bene, l’amicizia che ci regala è un gran dono, e non si può non volere bene a un uomo leale, sincero, appassionato.
Eccolo in questo giorno di compleanno, solo le gambe ridotte a grissini, lui che aveva cosce grosse per i suoi raid infiniti sul lato sinistro del campo, e polmoni da maratoneta, troppo tempo ha trascorso a letto, combattendo contro l’eredità opprimente del milione di sigarette, e i muscoli si sono ridotti, ma sta bene. Si è fatto venire in casa il barbiere di fiducia, Michele, che gli ha dato una aggiustatina ai capelli, che non sono più neri e non sono più tanti, e alla barba che quando se la lascia crescere lo invecchia, salvo che fa il finto vecchio perché basta dargli il “là” con un ricordo e torna scattante, “e che ne sai tu, ora ti racconto”.
C’è il figlio Roberto col nipotino, l’ultimissimo Pesaola, c’è Rosita che l’assiste e gli vuole un gran bene e lo sopporta (lui finge di maltrattarla), c’è soprattutto lui, il petisso del nostro cuore, che fa finta di meravigliarsi: “Ah, siete qua, ma allora sono ancora vivo!”. Auguri, Bruno.
MIMMO CARRATELLI

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