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I miei tre anni col direttore Carlo Iuliano

“Enzo, ma è morto Carletto ?”. Così sta scritto sui giornali. E’ il professor Giglietta. Ogni volta che entrava in aula era sempre la stessa gag. Il direttore Carlo Iuliano gli si avvicinava e diceva “Ma tu sei ottuagenario e stai ancora qui. Non ti sembra di esagerare ?”. Carlo Iuliano è un uomo particolare. Dire meraviglioso sa di encomio funebre. E non è il caso. È, non era. Mi dispiace usare verbi al passato con lui. Forse grammaticalmente è corretto. Ma è un insulto alla realtà. Nella realtà non c’è ricordo di Carlo Iuliano, c’è il presente nel quale Carlo Iuliano non se ne va. Non so perché sia morto. Non sono neanche andato ai funerali, non me la sono sentita. I funerali li lascio alle persone di famiglia e a quelli che si sono arresi.

La prima volta che l’ho conosciuto era l’inizio del 2010. Fuori un’aula di Tribunale. L’aula nella quale si celebrava il processo a Luciano Moggi e non so più chi altri, non lo sa più nessuno. Sapeva chi ero, mi aveva letto. Sapeva tutto di me. Il bello è che anch’io sapevo chi fosse lui. Quando glielo dissi disse “Uà”. Come a dire, insieme: che memoria barra ma chi te lo fa fare.

E’ così il Direttore. Un uomo complesso. Particolare. L’unico che in un ambiente come quello potesse fare una citazione culturale non da Prima Comunione. E non per pedanteria. O raffinato distacco. Per prendere in giro senza offendere, chiosare senza giudicare, capire senza parlare. Abbiamo passato giornate intere insieme. Per tre anni. Uno dietro l’altro, i processi. I pm, i giornali, i commenti. I giudici, gli avvocati, le strategie. I panini. Ricordo quello che mi ha offerto l’ultima volta che l’ho visto. Lui così sano e perbene in quella mangiatoia sbracata. Lui che non prendeva caffè, fumava zero, camminava a passo svelto. Mi ha anche aiutato ad attraversare la strada la sera, quando faceva buio dopo l’udienza e lo accompagnavo anzi mi accompagnava a prendere la sua auto dietro il Tribunale. Con le sconfitte giudiziarie vecchie e nuove sul groppone, il freddo, le cartacce dentro la macchina, le mignotte appostate, il suo passo senza riposo ed il mio a rimorchio, i grazie ed i prego, l’allegria intelligente. I grazie ed i prego. Quando mi portò un block notes Juve, “per prendere appunti”. Senza aggiungere che lui non l’avrebbe potuto, per ovvi motivi, mai usare. Non lo diceva, non serviva, ci capivamo al volo. Quando durante le periodiche retate delle divise nell’aula chiusa al pubblico mi faceva da garante silenzioso e quelli con le pistole e le peggio intenzioni verso i non giornalisti non osavano contraddire il suo silenzio. Per poi consigliarmi, “fattela la tessera dell’Ordine, lo dico sempre anche a mia figlia. Non serve a niente e quindi può sempre servire”.

Quando vegliava da lontano la figlia, perché non perdesse l’intervista a Moggi o a quell’altro che chissà dove usciva. Lui già lo sapeva. Quando gli mandai un sms di auguri allo scorso Natale, del 2011, e mi richiamò per ringraziarmi dello squisito pensiero, esagerato. Ma più che altro perché non ricordava chi fossi e lo squisito pensiero andava targato. E giù di risate. Non so perché sia morto. Tra i due quello che stava messo peggio ero io. Non lo so. Forse Dio incuriosito da tanto casino su Calciopoli ha chiamato a sé l’unica persona di cui si potesse fidare per avere un quadro onesto. Forse Dio s’è stancato di veder maltrattato un suo figlio argentino e s’è innamorato all’idea di farsi cullare da chi gli ha voluto bene. Forse Dio che ha senso pratico ha pregato Carlo Iuliano di preparargli per tempo una adeguata presentazione per noi diavoli rimasti. Mi fermo. Capito, Direttore. Dio, amore. Che paroloni. Sarà mica morto qualcuno.
Vincenzo Ricchiuti

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