Come se ne esce. Ce lo stiamo chiedendo ad alta voce quasi tutti da ieri sera, dal momento in cui Portanova (Portanova) l’ha messa dentro col solito colpo di testa. Ma ce lo stavamo chiedendo a bassa voce quasi tutti anche da poco prima, dal momento in cui Kone (Kone) l’aveva messa dentro col solito colpo a coniglio, dove per colpo a coniglio si intende una memorabile giocata pescata da chissà quale cilindro. In sostanza: cacciando la scienza. Come se ne esce, ci diciamo guardandoci tra di noi con gli occhietti da gattino triste.
La risposta è facile. Non se ne esce. Non se ne esce perché non siamo mai entrati da nessuna parte. Non siamo nel tunnel. Il tunnel non c’è. Non esiste. E’ un’illusione. Non esiste nessun periodo buio. Non esiste nessun momento storto. Noi siamo questi. Il Napoli è esattamente questo. Per come è stato costruito e per come viene gestito – dentro il campo, fuori dal campo, nella comunicazione – il Napoli è una squadra da terzo-quarto-quinto posto. Dove l’oscillazione fra il terzo e il quinto dipende non tanto da noi, quanto dalle annate buone o meno buone delle tre Intouchables del calcio italiano: Juventus, Inter e Milan. Siamo questi, e non è una vergogna. Siamo una Lazio o una Roma, ma con più tifosi. Siamo una Fiorentina, ma con più costanza. Siamo questi, e non dobbiamo credere che sia poco. E’ poco solo se davvero avevamo creduto ai piani triennali-quinquennali-quello che è; solo se avevamo creduto che il passo successivo sarebbe stato lo scudetto. La frase “dobbiamo crescere” non la diciamo mica noi. La crescita è un topos di De Laurentiis. “Dobbiamo crescere” lo ripete Mazzarri fino alla noia, specialmente dopo serate come quelle di ieri. Lo dice perché non ha la forza di ammettere che non cresceremo più. Altrimenti saremmo già cresciuti. Siamo dove dovremmo essere.
La delusione nasce dalla prospettiva che ci era stata parata davanti. Dalla promessa del passo in più. La crescita. Da quei giri di parole fatti lanciando la petrella e nascondendo la manella, “siamo pronti”, “l’obiettivo è quello massimo”, la delusione nasce da questo ammiccamento sornione e guascone che voleva dire scudetto senza pronunciarlo mai. Ecco. Anche questa cosa qui. Questa stramaledetta idea che se Napoli punta allo scudetto, “quella parola” non debba pronunciarla mai. Senza capire che meno pronunciamo quella parola, più distanti ne rimarremo per sempre. Meno mettiamo lo scudetto nel nostro campo linguistico-cognitivo, più inafferrabile resterà nei secoli dei secoli. La crescita, ma dai.
Come se ne esce. Ora onestamente mi preoccupa capire come ne usciremo noi tifosi. Come ci toglieremo di dosso questo carico di illusioni che ci è stato scaraventato sulle spalle da tutte queste promesse sussurrate. Abbiamo capito che non esiste nessun momento storto. Abbiamo capito che siamo questi. Abbiamo capito che non esiste un tunnel da cui uscire. Abbiamo disvelato l’illusione. Ecco. Ora, noi siamo pronti anche ad accettare tutto questo. In cambio chiediamo che sparisca dai discorsi e dal nostro orizzonte l’idea del passo in più, l’idea che qualcuno stia lavorando per un’ulteriore crescita. Perché non è vero. A un’ulteriore crescita non sta lavorando nessuno. Esiste uno scarto tra ciò che si promette e ciò che accade, e noi tifosi siamo al centro di quello scarto lì. Del resto è un meccanismo noto, un meccanismo scientifico. E’ uno sdoppiamento luminoso. Il Napoli vive lì dentro. Di questo scarto le nostre menti hanno una percezione simultanea: raccolgono i dati che giungono dal doppio binario sfalsato (la promessa e ciò che le scorre accanto) e lo rielaborano. Fondendo quello sdoppiamento luminoso, la mente ci restituisce una realtà che sembra profonda. Ci pare che abbia uno spessore. Questo meccanismo si chiama 3D. Si usa nel cinema. Ed è un’illusione del cervello.
Il Ciuccio