I napoletani diventano cittadini modello solo quando vanno a vivere altrove

Caro direttore, ormai è un po’ che ti invio i miei “deliri calcistici” e sai che preferisco, qui, scherzare e parlare di calcio. A quarantasei anni ho visto e subito cose che avrebbero mandato in psicoterapia anche un bue. Tra queste, il mio spirito critico nei confronti dei napoletani. Odio i non napoletani che ci […]

Caro direttore, ormai è un po’ che ti invio i miei “deliri calcistici” e sai che preferisco, qui, scherzare e parlare di calcio. A quarantasei anni ho visto e subito cose che avrebbero mandato in psicoterapia anche un bue. Tra queste, il mio spirito critico nei confronti dei napoletani. Odio i non napoletani che ci criticano, ma credo che la critica di un napoletano ai napoletani debba sempre far riflettere. E preferirei non scrivere anche perché ormai mi cito addosso. Non vorrei diventare come il personaggio interpretato da Riccardo Pazzaglia nel film di Luciano De Crescenzo, “Così parlò Bellavista”. Il personaggio del “cavalluccio rosso”, che raccontava cento e cento e cento volte il tentato scippo da parte di un minorenne. Allora sai che faccio? Ti incollo il link di un articolo che scrissi per Repubblica Napoli nell’ormai lontano 2008.

In alcuni blog cittadini fui massacrato, perché invece di difendere i cittadini li criticavo. Così non mi ripeto, sono sicuro che Gianluca Agata sa come inserirlo in modo che chi proprio è masochista ci clicca sopra e lo va a leggere. Se Napoli sia costituita da materiale prevalentemente formato da escrementi, lo lascio decidere agli altri. Io dico che Napoli è formata, fondamentalmente, dai napoletani. Banale? Non credo. Perché sono napoletani tutti quei fumatori che buttano la cicca della sigaretta per terra, a volte anche il pacchetto vuoto dal finestrino. Quelli che non raccolgono la cacca dei cani. Quelli che allo stadio, al primo anello, si alzano costringendo cinquantamila persone a stare in piedi per due ore. Quelli che parcheggiano l’auto davanti al cancello del tuo viale impedendoti di rientrare a casa (o di uscire). Quelli che da figli di professori ordinari vincono il concorso “ma mio figlio è bravo e meritevole e studioso e le leggi sono state rispettate” (io sono in attesa, per il nono anno, della riconferma di un contratto da 1600 euro lordi all’anno; mi hanno già detto: “sai, prima o poi finirà, preparati”). Quelli che il figlio butta la carte della merendina per terra e non dicono niente. Quelli che non mettono la cintura di sicurezza perché signor vigile, qua si cammina a tre all’ora, volete vedere che mo’ il problema del traffico sono io? Quelli che parcheggiano in seconda fila ma scattano più veloci di Maggio sulla fascia destra appena vedono comparire un blocchetto delle multe e una penna: mi stavo prendendo il caffé, me ne vado subito. Quelli che non fanno la differenziata perché poi, tanto, frullano tutto insieme. Sì, perché è sempre colpa della camorra, della droga, della microcriminalità, del parcheggiatore abusivo, di Bassolino e Iervolino, di Berlusconi, tra qualche tempo (scommetteteci) di de Magistris, insomma, del pesce che puzza dalla testa. Sai perché, direttore, ho ancora una flebile speranza: perché appena tutti “quelli che” di cui sopra si trasferiscono, che so, a Pescara, diventano cittadini modello. Allora le regole le conosciamo? Se è così, mettiamoli in minoranza a tutti quegli stronzi. Così togliamo la merda da mezzo. Ma, giuro: spero che non mi pubblichi, la popolarità non è il mio forte ma diventare antipatico urbi et orbi non fa piacere. Anche se l’urbe è di merda.

Giuseppe Pedersoli

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