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Quanto sei bello, Napoli, così disperatamente italiano

Intorno alla metà del secondo tempo mi ha fatto visita un pensiero. Ero stretto tra Gianluca Gifuni di Radio Marte che gorgheggiava arzillo al fianco dell’intramontabile Carmine Martino, e Davide Cerbone, gigante buono della rosea milanese che amichevolmente mi prendeva il tempo. Il pensiero, dicevo: italiagermania. Tutt’attaccato.

Italiagermania: loro organizzati, chirurgici, mastodontici. Crudeli fino all’efferatezza. Noi piccoli, sporchi, e cazzimmosi. Una Brigata Garibaldi poco attrezzata, coi vestiti laceri, i fucili a pallini e le polveri bagnate contro una panzerdivisionen: gli elmetti lucidi, la divisa senza una piega, le Kruger col colpo in canna e le mitragliette pronte a fare il loro dovere. Italiagermania: va così da settembre del ’43. E poi finisce che vinciamo (quasi) sempre noi.

Italiagermania: se arriva mezza palla decente in area se ne tornano a Monaco carichi di meraviglia, mi son detto tra me e me, evitando di esternare per evitare di essere preso per pazzo. E la palla è arrivata, anzi ne sono arrivate due: sulla prima il Pocho ha confermato l’idiosincrasia per il gol, sulla seconda il Matador si è perso nelle proprie ubbie autunnali. Italiagermania: la stessa suggestione deve aver preso, qualche fila più in là, anche Maurizio Crosetti di Repubblica, ed evidentemente lo spettro avrà volteggiato a lungo sul San Paolo.

Devono averlo guardato negli occhi i feroci crucchi in campo, ritraendosi in preda al panico, l’avranno percepito sulle loro teste i 2500 del gabbione alla mia destra. E hanno smesso: di giocare in campo, di urlare sugli spalti. Gli avevamo messo paura: missione compiuta. Ed io, Napoli mio, squadra dei miei entusiasmi puerili, passione irriducibile che non arretra, da ieri sera ti voglio, se possibile, ancora più bene.

Perché, nonostante i forsennati ghirigori barocchi dei tuoi assi sudamericani, l’aplomb da sicario professionista del genietto slovacco e l’algida razionalità dei tuoi metronomi svizzeri, hai dimostrato di avere un’anima profondamente italiana. Te l’hanno regalata il furore talvolta macchiettistico di quel mattocchio in maniche di camicia che si dimena come un forsennato anche per un fallo laterale non concesso, il relativismo creativo di Paolino nostro, la bieca determinazione del ragno di Pescara, le deliranti febbri agonistiche di Maggio, l’unico laterale vero visto in campo, altro che lo sfregiato francese.

Quanto sei bello, Napoli mio, quando lotti e soffri come hai fatto ieri sera. Non ti batte nessuno, quando sei così: intimamente, disperatamente italiano. Hai un indistruttibile filo di acciaio che ti attraversa il corpo. Non avresti perso manco se si fosse giocato fino all’alba. E all’Allianz Arena non parti battuto. Arriveranno altri palloni del destino, nell’area del Bayern. E stavolta ci sarà qualcuno pronto a spingerli dentro. Italiagermania, ricorda: abbiamo (quasi) sempre vinto noi.

Massimiliano Amato

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