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Al 3-1 sullo sgabello del Tropical

Azz’! ‘o Napule perd’ a Cesen’…
A mezzogiorno e mezza, (più tardi in verità, ma mezzogiorno ha maggior potere evocatico che le due meno un quarto…), al primo goal di Cavani, non ce l’ho fatta e sono saltato sullo sgabello del Tropical, (il Tropical, per chi si fosse perso le scarne puntate precedenti, è un baretto d’angolo tra la via Gorghetto e la via Padella, in piena Bassa e perennemente immerso nell’umido delle paludi e avvolta da sciami di voracissime zanzare tigre).
Il Sorbara è schizzato dai bicchieri dei miei compagni di aperitivo sotto lo sguardo preoccupato del proprietario (un migrante puteolano di prima generazione). Non ce l’ho fatta a tenere il mio atteggiamento snobisticamente scettico, il mio ghigno affetto da superiorità verso il plebeo produttore di panettoni cinematografici e il suo sodale toscano di mare. Li ho massacrati un’estate intera con la squallida campagna acquisti-vendite, con la tristezza di certe partenze (Cigarini in primis e poi il Quaglia eduardiano e poi, perché no, il Tenero Giacomo Dennis), con l’assoluta insofferenza verso l’incompetenza conclamata del Mister (anzi mister) e, all’improvviso, due movimenti verso il centro, un tiro sul secondo palo e l’urlo esplode.
Vi risparmio il resto. Stavamo ancora godendo, appagati, del silenzio imbarazzato dei due braccianti egizi, (che hanno confessato un inconfessabile e innaturale amore per il Sassuolo), e del taglio alla Samperi nella camicetta della consorte PMI da Terra di Lavoro, quando è arrivato quella cosa straordinaria del quarto goal, quel tocco al volo a rientrare sinistra destra, vai!
Un growl withmaniano ha sconvolto la sonnacchiosa calma meridiana, con un seguito di ululati dai cascinali, di voli di aironi, sghignazzo di fagiani.
Un attimo dopo ci siamo ridati un contegno. L’uomo di Livorno fumava basito in un angolino della tribuna. Neanche l’ha visto il capolavoro. Neanche ha visto Sacchi salutarlo, (e questo forse sarebbe un merito…), fumava allocchito sigarettine infime con la volgarità di chi biascica stuzzicadenti nel dopopranzo. E allora abbiamo concluso che l’uomo non merita tanta bellezza, ne è inconsapevole, l’abbiamo dichiarato ad alta voce ricavandone grugniti da aperitivo. La fedifraga dell’aversano roteava lo sguardo lubrico tra la camicia bianca del Mister (mister) e lo zigomo sofferente del Cavani. Il marito annuiva con il terzo spritz al bianco di lambrusco. Il puteolano tirava giù la serranda e, nel mentre, enumerava tra sé la formazione giallorossa, come un mantra, un gesto apotropaico, un neniante scongiuro.
Alla parola Steaua si è sentito il clic del catenaccio…

Paolo Birolini

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