Io Diego l’ho difeso
contro il fisco italiano

Nel dibattito che si è aperto sul confronto tra Maradona e Messi è stato detto tutto, o quasi. Ma dal mio punto di vista una valutazione ulteriore si può fare sotto l’aspetto extracalcistico, anche se pure su temi sociologici e quasi antropologici molto è stato scritto in questi giorni. A mio avviso carisma, leadership e […]

Nel dibattito che si è aperto sul confronto tra Maradona e Messi è stato detto tutto, o quasi. Ma dal mio punto di vista una valutazione ulteriore si può fare sotto l’aspetto extracalcistico, anche se pure su temi sociologici e quasi antropologici molto è stato scritto in questi giorni. A mio avviso carisma, leadership e capacità di emozionare fanno pendere la bilancia a favore di Diego. Le differenze tra Maradona e Messi non devono e non possono ricercarsi sul rettangolo verde o nel tocco di palla. Che si tratti di due fenomeni è indiscutibile E il paragone tra i due non è improponibile. Le performances che Leo ci ha regalato lo consacrano senza alcun dubbio miglior calciatore in attività. Anche di tutti i tempi? Parliamone, quando avrà appeso le scarpette al chiodo.
Il Pibe de Oro, però, aveva (ed ha ancora, secondo me) un suo inconfondibile carisma, il potere di attirare folle di gente comune ma anche di personalità e vip, un’inimitabile propensione ad emozionare chi lo vedeva giocare. Ho avuto, insieme ad altri professionisti, l’onore di difenderlo nella ormai famigerata causa contro il fisco italiano, contro la “maximulta” che ormai è lievitata fino a decine di milioni di euro e per la quale Equitalia gli ha pignorato l’orecchino – poi acquistato all’asta dal fantasista del Palermo Fabrizio Miccoli. Ho candidamente confessato di essermi commosso quando ho incontrato Diego all’hotel Palazzo delle Fonti a Fiuggi, nel settembre del 2002. Perché? Non lo so. Avrei dovuto mantenere un certo distacco, un britannico aplomb da professionista. Non ci sono riuscito.
Ricordo ancora mamma – che oggi non c’è più – con la bandiera azzurra in piazza del Plebiscito a festeggiare gli scudetti del Napoli. E a mia madre del calcio non interessava nulla. Eppure Diego riuscì ad emozionare e coinvolgere nella festa anche lei, come migliaia di altre persone che prima dei sette anni napoletani di Maradona non si erano mai interessate al football. Non sono stati gol quelli di Diego, ma opere d’arte: all’Inghilterra dopo sessanta metri di dribbling palla al piede, quello con la mano de Dios, la punizione contro la Juventus al San Paolo ad un Tacconi mortificato dalla traiettoria balisticamente impossibile; Zenga trafitto al Meazza che dichiara ai giornalisti: “mi ha guardato negli occhi prima di calciare”; la tripletta alla Lazio con un gol da centrocampo praticamente spalle alla porta; il tuffo nella pioggia contro il Genoa, per il quale la leggenda racconta che la manina del Pibe ingannò anche la telecamera. Insomma, un figlio del popolo che dalle “bidonvilles” argentine entusiasma tutte le classi sociali, amico di Fidel Castro ma anche di Carlos Menem; un mito che a Carnevale scatena la polemica indossando la maschera di Osama Bin Laden.
Uno che giura sulla testa delle figlie ma non vuole riconoscere il figlio maschio, che si fa mordere il labbro dal cane della compagna e poi lo perdona, che spara col fucile ad aria compressa contro i fotografi e che abbandona la conferenza stampa perché non vuol dividere la ribalta con un calciatore tedesco di vent’anni, esordiente. Nonostante tutto questo, Maradona è amato dalla gente. Come ha scritto Massimiliano Gallo, Messi rappresenta la perfezione calcistica della play station, divertente e anche bella da vedere. Ma non si paragoni la perfezione del computer alle emozioni che solo un grande artista ti sa regalare. Messi è il calciatore perfetto, Maradona il carismatico artista.
Giuseppe Pedersoli

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