ilNapolista

“Colpire un Bonucci per educarne cento”. La Juventus rinuncia al decoro sabaudo

Il caso è la notizia del giorno. Sconcerti: «La società ne esce male». Garanzini su La Stampa: «Perché tre giorni?». Crosetti su Repubblica fa il paragone col passato.

“Colpire un Bonucci per educarne cento”. La Juventus rinuncia al decoro sabaudo
Bonucci

Tribuna punitiva

Allora, facciamo così: prima di iniziare a leggere gli altri, diciamo prima la nostra. Abbiamo già cominciato ieri, a caldo, individuando (anche) in questi comportamenti mediatici una distanza tra la Juve e il Napoli. Il ragionamento non è stato colto da tutti, ma è lì. A questo, oggi, aggiungiamo un altro punto: al di là della scelta condivisibile o meno della Juventus, resta la platealità del gesto. Nel senso: tribuna punitiva, ok. Per alcuni ci sta, per altri è troppo. Però, se Bonucci fosse andato in panchina – ad esempio -, ci sarebbe stato tutto questo clamore? Forse sì, forse no. La punizione effettiva sarebbe “rimasta” (non giocare per non giocare), ma il tutto si sarebbe potuto liquidare con un “non è al massimo” di circostanza. A cui nessuno avrebbe creduto, certo, ma che avrebbe sortito gli stessi effetti. Invece, no: tribuna.

Una scelta drastica, dall’altissimo contenuto mediatico e dal considerevole rischio tecnico. Come spiega anche Sconcerti sul Corriere della Sera: «È una brutta storia di cui si parlerà ancora domani solo in base al risultato della partita col Porto. Raramente conta altro nel calcio».

La Repubblica

Un po’ come noi la pensano a Repubblica. Il caso viene analizzato da Maurizio Crosetti, e il titolo è autoevidente: “Il timore di perdere il controllo dello spogliatoio, così cambia il club che silenziava le polemiche”. Ecco, appunto: da una parte la condivisione del comportamento, dall’altra le perplessità sulla gestione mediatica del caso. Leggiamo: «È come se in una manciata di ore fosse scomparso un intero mondo bianconero fatto di coperture, reticenze, blindature, precauzioni, smentite, silenzi. A volte, ipocrisia. Era così da quasi cent’anni. Ed era molto sabauda quest’attenzione talvolta fanatica al decoro, alle belle maniere, alla forma che non poteva, non doveva mai dare segni di cedimento». Per il Napolista, questa frase potrebbe essere una specie di cavallo di battaglia.

Ancora: «È come se Allegri temesse il prossimo caso, un nuovo falò nello spogliatoio: colpirne uno, Bonucci, per educarne una ventina. Dunque i panni sporchi non si tengono più nell’armadio ma si lavano nel Po, eventualmente nel Douro, il fiume di Porto che ha un nome perfetto per l’ultima versione, durissima, del tecnico juventino. Sorprende molto, conoscendo la Juventus». E la storia bianconera di “nascondere le malefatte”, di e tra calciatori e allenatori, raccontata in un trafiletto che non riportiamo per ragioni di eccessiva lunghezza. Da cui estrapoliamo una frase: «Ai tempi della Juve di Platini, nessuno si amava, i giocatori andavano al campo come in fabbrica o in ufficio, poi però vincevano quasi sempre». Oggi, la cosa è cambiata. E Crosetti non si spiega «perché adesso, perché qui, perché così».

bonucci

Sconcerti

Abbiamo già anticipato una parte dell’intervento dell’editorialista del Corsera. Che, in un certo senso,  pure si chiede perché. Il suo interrogativo, però, riguarda il modo in cui ne esce la società: «La prima impressione è che a uscire in modo fragile dalla storiaccia Allegri-Bonucci sia la società. Non può essere giudice Allegri che è ampiamente parte in causa. Non può dare punizioni diverse agli altri e a se stesso. Essendo stato molto plateale l’incidente e riguardando due suoi tesserati, toccava alla Juventus dare linee di comportamento al di sopra delle parti».

«Si è lasciato invece che la vicenda restasse tra giocatore e tecnico, cioè fra tutto il mondo Juve ma fuori dalla Juve. E Allegri non poteva fare altro visto il torto palese. Bonucci era il vaso di coccio sul tavolo. Mi sembra abbia prevalso un cattivo senso del reale, la divisione per tre di un danno serio e molto seccante». Che, come recita il titolo dell’editoriale, “Può avere strascichi pericolosi”.

La Stampa

È quello che pensa anche Gigi Garanzini della Stampa, che per prima cosa si chiede perché tutto questo sia avvenuto dopo «Juve-Palermo, una sgambata dall’esito già segnato»; e perché la Juventus, «una società leader da sempre nella gestione delle regole, abbia impiegato, anzi perso tre giorni per affrontare fino in fondo il caso Allegri-Bonucci, riducendosi a risolverlo nel tardo pomeriggio del quarto. Alla vigilia cioè della sfida che riapre il cammino della Juve in Coppa dei Campioni». Anche qui, il dubbio è il quando.

Ma anche il perché, che rimanda all’alta tensione che sembra regnare nella real casa bianconera. «Segno che, a dispetto di risultati ottimali, dal primo posto in campionato con largo vantaggio al brillante cammino nelle due Coppe, qualcosa non funziona all’interno di uno spogliatoio che si sarebbe detto granitico. E qualcosa di molto serio, perché la rinuncia per motivi disciplinari a uno dei leader della squadra che è anche, da tempo, uno dei più forti difensori al mondo non solo penalizza la squadra in una partita di grande importanza: ma è anche, con ogni probabilità, l’anticamera della rinuncia a fine stagione a
uno dei due contendenti».

I giornali sportivi

Abbiamo dimenticato qualcosa o qualcuno? Ci sarebbero i giornali sportivi, ma qui è più cronaca che commento. La Gazzetta affida a Gianni Valenti un piccolo pezzo di giudizio. Tutto dalla parte di un Allegri che «si è trovato spalle al muro e ha fatto la scelta obbligata, concordando con la società. Ben sapendo che spesso sterzate del genere possono costituire il miglior viatico verso la vittoria».

Poi c’è Tuttosport, che in prima pagina spara un bel titolo a caratteri cubitali. Una parola: “ESEMPLARE”Il riferimento è alla doppia punizione, tribuna più multa di Allegri. “Un segnale forte”, si legge nell’editoriale di spalla. Perché «alla Juve l’unico intoccabile è lo stile». E perché «Non c’è tensione… o meglio c’è una giusta tensione per tutti gli obiettivi che la squadra deve raggiungere». Non avevamo dubbi.

ilnapolista © riproduzione riservata