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Quel dodicesimo uomo che non esiste più

Il racconto di un tifoso che torna al San Paolo dopo più di vent’anni. E trova uno stadio freddo, lontano dai ricordi adolescenziali, dai boati di un tempo,

Quel dodicesimo uomo che non esiste più

Erano più di venti anni che non assistevo ad una partita di cartello al San Paolo. Un’era geologica tra me e quella Napoli-Roma del 30 gennaio 1994 che ricordo essere stata l’ultima grande partita da me vista allo stadio di Fuorigrotta.
Nel frattempo in questi ultimi quattro anni, complice una permanenza per lavoro in Toscana, sono tornato più volte allo stadio per vedere la mia squadra del cuore, ma in trasferta.

Genova, Firenze, Bologna, Livorno, Empoli erano stati gli appuntamenti divenuti immancabili lontano dalla mia città d’origine. Quegli appuntamenti che finivano per essere più attesi di qualunque partita a cui puoi assistere nella tua città. In molti mi avevano messo in guardia. Al di là della retorica del ruggito del San Paolo, al di là del boato che fa tremare lo stadio solo e soltanto quando tutti insieme saltano e dicono in coro “the Champions”, il pubblico di Fuorigrotta è sembrato a più d’uno freddino rispetto alla mitologia che ne faceva uno dei più caldi d’Italia. Bene, quello stadio è stato “casa mia” dal 1978 al 1990. Quindi posso sicuramente toccare con mano se ci sono dei cambiamenti.

La partita è una di quelle che mi aspetto essere seguita con tanta passione. In fondo quando sono stato in trasferta i tifosi del Napoli, complice il fatto di essere in pochi, mi erano sembrati molto caldi. Poi Benitez non c’è più. Pare che fosse lui il catalizzatore del malcontento dei tifosi. Si, c’è stata contestazione di tanto in tanto, ma oggi il Napoli gioca contro la Roma, quindi lo stadio sarà un catino rovente. Poi la giornata, a dispetto delle previsioni, è calda e il sole mette allegria.
All’ingresso in tribuna sento dei cori provenire dalle curve. In realtà si tratta di qualche offesa becera alla squadra avversaria, e un ripetitivo “De Laurentiis figlio di…”. Non mi sembra il massimo, ma tant’è.

La partita inizia, alla prima occasione per il Napoli, una punizione dal limite di Insigne, lo stadio mi sembra stranamente silenzioso, attento e speranzoso ma silenzioso. E così prosegue per tutto il primo tempo. Un pubblico quasi da teatro, tanto per richiamare le parole del presidente del Napoli di qualche tempo fa. Poi segna la Roma. Pubblico attonito ma silenzioso. Mi sarei aspettato una reazione rabbiosa delle curve e un incitamento a tutta. Invece poca roba.

Non ci sono molti applausi, non ci sono molti fischi. Mi sembra di stare davanti a un gigantesco schermo televisivo. Come se il pubblico non fosse più consapevole di quella funzione taumaturgica che un tempo gli si attribuiva, ovvero quella di spingere la squadra di casa fino a metterle le ali. Durante l’intervallo sento discutere in maniera molto attenta delle due fasi, di diagonali, di calciatori svincolati possibili sostituti di Milik, con tanto di valutazioni e ingaggi, e di disposizione degli uomini in campo. Un mega salotto popolare stile Sky e Mediaset.

Si ricomincia. Ecco, penso io. Ora sarà l’inferno. Invece un brusio di fondo, qualche imprecazione, qualche fischio occasionale per gli avversari. Si, occasionale. La bolgia di fischi che ricordavo dalla mia adolescenza, quel suono assordante che faceva tremare le gambe agli avversari quando attaccavano è un lontano ricordo. La Roma raddoppia. Ancora imprecazioni e tanto silenzio. Il pubblico ha subito il colpo. Al gol di Koulibaly finalmente risento quel boato familiare. Ma l’incitamento dura qualche minuto. Poi lo stadio ripiomba nel brusio e nel ritmo dei cori della curva B, slogan ripetuti a memoria che però poco hanno a che fare con una spinta ai propri beniamini.

La partita, anche a causa dell’atteggiamento del Napoli, sia chiaro, continua a scorrere in un rumore di fondo che consente persino di scambiare due chiacchiere coi vicini di posto. E il 3-1 della Roma viene accolto con qualche fischio e con l’abbandono dei posti da parte di molti spettatori. Gesto che ricordo inusuale negli anni ’80 e ’90.

Pubblico più maturo, pubblico più informato, pubblico più preparato. Ma ormai un pubblico rieducato dalla TV. Allo stadio si va per GUARDARE la partita, molto meno per INCITARE. Trenta anni fa, prima dell’era delle dirette, tutti gli stadi erano delle bolge. Forse era peggio perché gli animi si scaldavano facilmente. Era impossibile parlare con qualcuno, non si capiva nulla e si tornava a casa afoni. Al San Paolo si iniziava a cantare con “O mama mama mama…ho visto Maradona…” e si finiva con “O’ Surdato ‘nnammurato”.

Non che un’epoca sia meglio dell’altra. Si tratta solo di una metamorfosi probabilmente inevitabile. La TV ci ha cambiati. Ci stiamo avvicinando agli standard USA, dove negli anni ’90, durante le partite di Hockey, Basket e Baseball, mi meravigliavo di vedere sui tabelloni elettronici gli ordini impartiti al pubblico “Clap”, “Wow”, ecc. Però ritengo che parlare di dodicesimo uomo, fatto salvo qualche stadio come lo Juventus Stadium o qualche stadio di provincia, sia ormai un luogo comune. Forse è veramente meglio così. Tutte le regole che impediscono (spero) ai più facinorosi di entrare negli stadi, l’abitudine alla partita in TV, ha reso i pubblici d’Italia più riflessivi, se non freddini. E forse stadi più piccoli sono davvero il futuro.

Per me va bene uguale. Basta non ripetere frasi fatte che non trovano riscontro nella realtà.

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