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Romanzo napolista / La scoperta del football

Settima puntata del romanzo “Hard Boilin’ Football” di Pasquale Guadagni.

Romanzo napolista / La scoperta del football

Non ho mai bevuto niente di così fresco e inebriante! – si disse Reginaldo La Cruz, seduto da solo ad un tavolo del bar di prima classe del transatlantico che lo portava a Napoli e, vuotato il bicchiere, ordinò subito un altro Asti Cinzano. Dopo tre minuti esclamò: “Questi bicchieri del cazzo sono buoni per un bourbon, qui ci vorrebbe una borraccia. Cameriere! Portami altro Cinzano, ma in una borraccia, insomma una pentola, qualcosa di grosso, sennò dovrò chiamarti altre dieci volte, perdio!” Mi spiace signore, l’Asti Cinzano è disponibile solo in coppa o in bottiglia, ma se vuole una confezione regalo posso preparargliela per stasera – fece il cameriere, impassibile. Nessun regalo! – lo liquidò La Cruz – Non lo vede che sono solo? Una bottiglia ghiacciata andrà bene. In quella traversata transoceanica, La Cruz impiegò un paio di giorni a diventare lo strano figuro della nave, né faceva nulla per passare inosservato. Era davvero comico vederlo salire sul ponte del bar verso le nove del mattino, con addosso il suo cappellaccio texano, un paio di occhiali scuri, da sbirro, che aveva comprato a Long Island, e un poncho sudicio, che usava un po’ perché era messicano e un po’ per nascondere le fondine con le pistole, ben strette sui fianchi.

Ogni mattina, tra gli sguardi divertiti delle signore e quelli disgustati dei gentiluomini, prese l’abitudine di scolarsi due bottiglie di Cinzano e presto diventò il beniamino dei camerieri, ai quali elargiva mance da ruffiano. Nella prima classe di quel transatlantico, il pistolero di Tijuana era una vera mosca bianca, si trovava in mezzo a nobili, ricchi borghesi, donne alla moda e attori di grido e in quell’ambiente molle ed elegante cercava, con risultati ridicoli, di dirozzare alla meglio i suoi modi, ma di certo quel continuo viavai di bottiglie di Cinzano al suo tavolo faceva sì che i più lo scansassero come si fa con un ubriacone molesto. Una mattina, vuotata la seconda bottiglia, inchiodò gli occhi su una bionda sofisticata sulla trentina, sola ad un tavolo poco più in là, che stava osservando da qualche giorno. Indossava un cappello di paglia dalla tesa ampia e cascante sugli occhiali da sole, un lungo nastro di seta gialla le legava i capelli e faceva capolino sulla spalla destra e una tunica di lino turchese le fasciava il corpo fino alle caviglie. La Cruz si alzò, ruttò penosamente a causa del troppo Cinzano e andò verso di lei. Permette che le offra una bottiglia di Asti Cinzano? E’ roba buona, sa? Italiana! – le propose La Cruz, cercando di marcare un accento texano che non tradisse le sue origini. La donna, senza staccare gli occhi dal suo bicchiere, da cui sporgeva una lunga cannuccia nera, disse: “Spiacente, sono di Boston e non condivido le abitudini di voi mezzi messicani del Sud e ora sparisca, o chiamo i miei compagni di viaggio”. Reginaldo mise subito mano alle fondine, come se avesse voluto freddare la donna all’istante, poi pensò che non sarebbe potuto scappare da nessuna parte e, ruttando ancora, tornò al suo tavolo, ordinando in via eccezionale una terza bottiglia.

L’indomani Reginaldo fece la seconda grande scoperta di quel viaggio: dopo l’Asti Cinzano, comparve per la prima volta nella sua vita anche il football. A bordo c’erano dei giovanotti inglesi con i baffi a manubrio che, vestiti alla marinara, stavano prendendo a calci, in un punto del ponte in cui non infastidivano nessuno, una strana matassa di stracci e pelli cucite tra loro. Vedendoli da lontano, La Cruz si avvicinò incuriosito e iniziò ad osservarli, chiedendosi che cosa avessero intenzione di dimostrare quei giovanotti. Ad un tratto, con fare duro, esclamò: “Ehi, fatela finita con quella spazzatura o la spargerete su tutto il ponte!” Uno dei giovanotti prese la rudimentale palla tra le mani e con voce affettata disse: “Questa non è spazzatura, signore, questo è football” e ripresero a dare calci. Sarà che da un pezzo siamo in mezzo all’oceano, ma qui si stanno bevendo il cervello! – pensò La Cruz tornando a bere al suo tavolino. Quei tipi però non riusciva a toglierseli dalla testa e allora si rialzò, andò al bancone con la bottiglia di Cinzano in mano e chiese al cameriere: “Ehi, che cosa diavolo è il football?” Un passatempo inglese, signore, come il galoppo o il gin – gli rispose quello. E che c’è di divertente a insudiciarsi con della spazzatura? – insisté La Cruz. Signore – fece il cameriere, che era un ragazzo del New Jersey nato da genitori ungheresi – se vuol sapere la mia, le dico che gli inglesi sono andati fuori di matto, da quando hanno colonie sparse in tutto il mondo. Sì, sarà proprio così – tagliò corto La Cruz.

Il giorno dopo, Reginaldo ritrovò quei tipi, che continuavano a correre dietro la strana matassa. Decise di farsi sotto per vederci più chiaro. Insomma, signori, – esordì – quale cazzo è il significato, la finalità di questo football? Un ragazzo italiano, di nome Ferruccio, che si mischiava agli inglesi e aveva un copricapo con le insegne del fascio littorio, batté i tacchi davanti a La Cruz e, accompagnando con vistose contrazioni dei muscoli facciali, esclamò nella sua lingua: “Straniero, il football è impeto futurista, ardimento, militanza della testa e dei muscoli e solo chi entra nella mischia non si sporca nel sovrano disprezzo della resa!” La Cruz si convinse che l’italiano lo stesse prendendo per i fondelli e in un lampo spianò l’artiglieria, tanto per far capire chi era. Gli inglesi lo fermarono ma, mentre lui spiegava di non cercare rogne, Ferruccio, sguainato un pugnale che recava sull’elsa un bassorilievo della lupa capitolina, gli diede del sobillatore internazionalista. Il messicano ebbe il fumo agli occhi, nessuno mai si era permesso di dargli del rosso, e minacciò il giovane: “Attento, moccioso, che il mio piombo te lo squaglia, quel temperino!” L’italiano fece un passo indietro e Reginaldo, per sdrammatizzare, ripeté di aver solo chiesto cosa fosse mai quel fottuto passatempo. Così, rasserenati gli animi, un inglese esordì: “Il football è un gioco di squadra. Una squadra è composta da undici giocatori. . .” Perché undici e non dieci, che è numero tondo? – lo interruppe La Cruz. “Perché si gioca in undici e basta. Lo scopo del gioco è quello di divincolarsi tra gli avversari con la palla tra i piedi e cercare di farla entrare in un’apposita porta. Chi fa entrare più volte la palla in porta, vince. Ha capito ora?” Ho capito – fece Reginaldo, guardandosi intorno – ma le vostre porte dove sono? Oh, ma questo naturalmente non è un campo regolamentare – sorrise il giovanotto – qui ci alleniamo solo ad affinare il controllo della palla e la tecnica di contrasto con l’avversario. Ma se ci si deve allenare – obiettò La Cruz – allora questo non è un passatempo come bere il gin! Anche per il gin devi allenarti! – chiosò un giovanotto molto corpulento, un po’ in disparte. Vede, – aggiunse quello che stava parlando con La Cruz – il football, almeno in Inghilterra, è uno sport! E ora che diavolo è uno sport? – fece La Cruz rimettendo mano alla fondina. La prego, signore, non c’è motivo di scaldarsi così, – disse l’inglese – uno sport è un’attività non lucrosa che serve a svagarsi in buona compagnia. Il cameriere ha ragione, – pensò La Cruz – da quando si sentono i padroni del mondo, gli inglesi hanno deciso che esistono pure attività non lucrose.

La conversazione andò avanti fino al tardo pomeriggio, tanto che, alla spicciolata, gli altri giocatori se ne andarono stufi, a cominciare dall’avanguardista Ferruccio, che si lamentava con uno di loro di come gli straccioni rossi come quello lì avrebbero continuato ad ostacolare il progresso che è autodispiegamento dello spirito e della volontà degli audaci. Il disponibilissimo giovanotto inglese, che per fare pubblicità al football sarebbe stato disposto a parlarne anche ad una platea di sordomuti, spiegò a La Cruz com’era fatto un campo di gioco, lo informò delle regole fondamentali, come la proibizione di toccar palla con gli arti superiori e, man mano che parlava, La Cruz si interessava sempre di più, ma poiché sentiva parlare di cose che non aveva mai visto, continuava a fare solo domande ingenue. Chiedeva se colpire la palla di testa non poteva essere pericoloso per la vista oppure perché nessuna squadra avesse mai pensato di mandare tra i pali due o tre portieri. E poi che ci sta a fare quest’arbitro, se è un gioco tra galantuomini? – all’ennesima domanda, il giovanotto invitò La Cruz a non farla così difficile e a provare personalmente l’ebbrezza del football, ma il messicano, prendendola di tacco, impigliò la ruota dentata dei suoi speroni texani negli stracci della palla e decise che quella roba non faceva per lui.

Verso le otto della sera La Cruz, a cui quel tipo, che si era presentato come Floyd, era diventato simpatico, lo invitò a bere qualcosa. Ti piace l’Asti Cinzano, Floyd? – gli chiese il messicano. Preferisco un doppio gin liscio, grazie. Chiamando il cameriere a voce fastidiosamente alta, Reginaldo ordinò un doppio gin e una bottiglia di Cinzano, e così, bevendo, volle raccontare a Floyd qualcosa di sé. Non richiesto, iniziò ad inventarsi una vita pulita e tranquilla, riconoscendo che non sarebbe stato opportuno, in quell’ambiente ovattato, parlare del sangue che per anni aveva fatto scorrere a Tijuana. Floyd, sorseggiando il gin, provò ribrezzo per la cupidigia con cui La Cruz beveva il Cinzano e gli chiese se tutto quello spumante non lo disturbasse. Amico mio! – rispose entusiasta – Questa roba è una bomba, l’unico disturbo è che ti fa ruttare continuamente, ma tra uomini, cazzo, che vuoi che sia? Prima di salutarsi, Floyd disse che a Napoli, una settimana dopo l’arrivo della nave, con i suoi amici avrebbe sfidato a football una buona rappresentativa locale, con cui aveva già fissato la data via telegrafo dall’America, e a quel punto non poteva mancare di invitare ufficialmente il suo nuovo amico ad assistere alla gara, così il messicano si sarebbe reso conto di quanto il football fosse più bello e meno strano di come ancora gli appariva. La Cruz, brillo, rispose che non sarebbe mancato per nulla al mondo e, brindando ancora, si augurò che il Cinzano non fosse solo una bevanda da transatlantico, ma che lo commerciassero anche sulla terraferma.

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