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Piagnone sarà lei, Napoli non si lasci cucire addosso questa etichetta

Piagnone sarà lei, Napoli non si lasci cucire addosso questa etichetta

Guardate questo video. Sfotticchia i tifosi delle venti squadre di Serie A, immortalati ciascuno secondo il proprio cliché. Andate al minuto 1:20, c’è il napoletano. Atteso che ci si arriva dopo esser passati dal veronese razzista, il bolognese rimasto agli anni 50 e lo juventino (con inflessione meridionale) negazionista, come minimo ci si aspetta che il partenopeo sia una specie di Siani buffo e maradoniano. Invece no. È un chiagnazzaro che, subito dopo aver esultato per un gol degli azzurri, polemizza sulle decisioni dell’arbitro e sulle disparità di trattamento («E Bonucci? E Bonucci?»).

Adesso prendete il pezzo che Giancarlo Dotto ha scritto per Dagospia sull’ultima giornata di campionato. Si legge che la squadra di Sarri ha vinto «contro un’Atalanta già arresa al fischio d’inizio, che non ha voglia in campo e ha soprattutto Reja (ex Napoli ed ex Lazio) in panchina, stranamente ilare anche nella sconfitta». Capito il tono? Andiamo avanti: «Nel timore che la sua squadra (parla ancora di Edi, ndr), già salva, possa inventarsi un pareggio, toglie Diamanti e mette tale Remo Freuler a inizio ripresa. Sconfitta blindata». Chi ha visto la partita sa che la Dea ci ha messo tanto agonismo. Non ha dato l’impressione di consegnarsi all’avversario. Eppure in 93 minuti avrà concluso una volta nello specchio della porta difesa da Reina (con un colpo di testa innocuo di Borriello; tecnicamente, neanche l’autogol di Albiol scaturisce da un tiro dei nerazzurri). Che la malizia di Dotto sia fondata o no, va notato che la sua considerazione arriva al termine di una serata in cui sui social i tifosi del Napoli tirano le stesse conclusioni sull’approccio del Genoa alla sfida con la Roma. Dal vantaggio momentaneo di Salah a quello definitivo di El Shaarawy, è tutto un grido al biscotto.

Diffidare è lecito. La storia della Serie A ha più volte dimostrato che intrallazzi e manipolazioni sono possibili. C’è un limite, però, tra il nutrire dubbi e chiudersi in spirali complottarde, tra il pensiero critico e il piagnisteo. Ecco, la platea napoletana sta superando il confine, direzione lato oscuro della faccenda. Quello che nel nostro immaginario, finora, era presidiato da interisti e romanisti, pronti a leggere tracce di piani manovrati da secondi e terzi livelli occulti anche nelle più piccole scelte e nei più piccoli episodi.

I problemi che derivano da un orizzonte tanto asfittico sono più di uno. Innanzitutto si annacquano i fatti che meritano maggiore attenzione in un generico “al lupo al lupo” su illazioni e costruzioni pretestuose e cervellotiche. Poi, sentendo ovunque puzza di marcio, ma mancando un raccordo logico nella sequenza di fatti tenebrosi, le teorie cospirazioniste si sovrappongono a livelli implausibili a meno che non si voglia immaginare un altissimo grado di ingegneria nella stanza dei bottoni (così un mese fa i napoletani cercavano trame nelle quattro giornate di squalifica a Higuaìn, e poi i romanisti vedevano premeditazione nella circostanza che lo sconto di pena avrebbe permesso al bomber argentino di essere in campo all’Olimpico). L’eterna suspicione, ancora, pialla l’onestà intellettuale. Perché se il tifoso del Napoli valutasse con la stessa severità con cui guarda all’aplomb dell’Udinese il fatto che negli ultimi trenta giorni Hellas Verona, Bologna e Atalanta hanno lasciato 9 punti al San Paolo cumulando in tre 11 gol subiti e al massimo due tiri in porta, dovrebbe come minimo azzardare che tra le piccole c’è una cordata che vuole il club De Laurentiis in Champions per via diretta.

Ma forse, a dirla tutta, il vero problema è quello del cliché. Perché il cospirazionismo napoletano ha alle spalle una sequela, lunga anni, di denunce e di recriminazioni che ormai formano una tradizione. Ecco, posso accettare che in Italia si parli di noi come di perditempo che anziché affrontare i problemi della città pensano al pallone, nell’accezione negativa, o come di un pubblico incredibilmente caloroso che vive di calcio e riempie lo stadio in Serie C, in quella positiva. Ma non come di chiagnazzari. Il pianto professionale lasciamolo agli altri.

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