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L’ultima volta che il Napoli era primo da solo si parcheggiava in piazza del Gesù

L’ultima volta che il Napoli era primo da solo si parcheggiava in piazza del Gesù

Fermi tutti, decisiva in favor loro stata non sarebbe in caso di invero più che impossibile score finale sfavorevole, decisiva non lo è per noi adesso che anche la Mancio-band si è dovuta arrendere alla legge di un San Paolo dove non sembra più essercene davvero per nessuno – Europa o campionato che chicchessia – con buona pace di recriminazioni, moviole e instantreplay, ché a dirla tutta poi a chiuderla già il primo tempo con sei gol di vantaggio e di scarto nessuno potuto avrebbe gridare allo scandalo, e allora addio ai talk show, interviste fiume nel sottopassaggio e l’arbitro Cesari di nuovo disoccupato. Sia quindi detto a scanso di equivochi che la strada verso il sogno è ancora lunga e irta di ostacoli come la selva oscura del simpatico signorino che staziona notte e giorno a piazza Dante, ma per un giorno lasciate che il tifoso si culli nell’insolito post-sbronza marteditino che nemmeno quindici sospesi di arabica extra Carbonelli mitigare potrebbero, e vedere vorremmo il contrario dopo un’attesa durata quanto le nozze d’argento, quando ancora in molti portavano i calzoncini corti e a piazza del Gesù si parcheggiavano senza problemi le centoventisette.

Vittoria che vale tanto, certo, ma forse anche di più dei semplici sei punti in palio perché consacrazione definitiva di una squadra capace di tenere botta davanti alla tensione di un match che in molti attendevano più del nuovo disco di Alice, a cui mister Sarri – da molti addetti ai lavori goffamente etichettato come inadeguato alla piazza – è riuscito ad inculcare quella capacità di soffrire che solo i veri proletari come lui conoscono bene per non essere cresciuti a via Manzoni, e tutto il resto è solo naturale conseguenza con orgoglio e fame di vincere a compensare calo fisiologico nella ripresa e panchina più corta di una cartolina di Andrea Barbato.

Supremazia comunque netta al triplice fischio di Orsato, e dispiace che un damerino d’oltremanica come il Mancio di meglio non trovi che appellarsi ad un’espulsione sacrosanta come – siamo sicuri – ammettere lui stesso potrà se solo troverà il tempo di dedicare un minuto in più alla moviola tra le svariate sedute quotidiane dal barbiere. Inutile quindi stare qui a rimarcare che in dieci comunque si gioca meglio che in undici, un alibi non fa primavera e la storia non la scrivono gli episodi, questo il tifoso lo sa e di fronte ad un’Inter sin troppo presuntuosa ma comunque costretta a subire il sorpasso come un Barrichello qualsiasi è tempo di godersi una difesa di ferro che ad oggi si può esserne certi metterebbe la museruola persino ai tre tenori terribili blaugranata, un centrocampo che per un Marek a cui sembrano aver rifatto il motore si affianca un Giorgigno sempre più autorevole e decisivo, senza nulla ovviamente togliere ad Allan che farebbe notizia soltanto se riportasse per una sola volta un nove in pagella piuttostòché la solita eccellenza, quisquilie da calcoli da fantacalcio che nulla contano di fronte a prestazioni al solito più imponenti della torre biologica al policlinico nuovo.

Ci sarebbe poi da parlare del Pipita, certo, per il quale ormai il paragone con D10S è sempre meno azzardato, grande immenso condottiero, faina della trequarti e implacabile rapace dell’area di rigore, l’uomo dinanzi al quale anche le difese più educate e riservate sono costrette a perdere la verginità, tutti i portieri declassificati a ex meno battuti del campionato, lama affilata che taglia in due i piani avversari come un lingotto di burro griffato Ciro Amodio, nessuna pietà nemmeno se a scuola calcio fosse andato al Cobra Kai, novello Stenmark in perenne slalom speciale tra i fantocci esotici nerazzuri, fonte di inarrestabili polluzioni notturne come nemmeno Monica Vanali ai gloriosi esordi su Studio Sport. A sognare forse si fa peccato ma molto spesso ci si azzecca, il tifoso lo sa ma in una città dove in molti fino a ieri sembravano vaccinati alla fase REM non pochi domenica prossima saranno disposti persino a sacrificare il ragù, per continuare a nutrire quel sogno. A mezzocannone tra i fuorisede spopola I love mortadella, chi l’avrebbe mai detto? Poco importa, il tifoso non sa che farsene di un etto, la sua è solo fame da scudetto.
Otto Tifoso

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