In un paese come l’Italia che definisce le sue identità attraverso il calcio molto più che con le classi sociali, la provenienza geografica, la fede religiosa o le preferenze sessuali, quando mi chiedono per che squadra tifo rispondo, usando un tono che può essere scambiato per snobismo o malinconia, che sono un ex juventino.
Lo sono diventato senza deciderlo consapevolmente, nei lunghi anni tra il liceo e l’università; ma non è successo distrattamente come magari succede a chi da adolescente arrabbiato con il mondo smette di andare a messa una domenica e poi, con indolenza, non frequenta più un altare in vita sua. Con il tifo non esiste questo tipo di processo, una lenta e graduale secolarizzazione. Anzi.
Ho smesso di tifare per la Juventus – e non ho ovviamente cominciato a tifare nessun’altra squadra (cambiare squadra, credo lo si capisca verso gli otto anni, è una possibilità realmente inaccessibile) – per tre motivi fondamentali che sono rimasti immutati nel tempo; li potrei ripetere domani in fila alla posta o in una discussione improvvisata sull’autobus.
Sono gli stessi tre motivi che mi venivano in testa, mentre leggevo le parole dell’attuale presidente della Juventus, Andrea Agnelli, a un convegno organizzato da Rivista Studio: “Moggi? Rappresenta una parte importante della nostra storia. Lo possiamo perdonare. Siamo il paese del cattolicesimo”. (segue su www.internazionale.it)
Christian Raimo