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È un Napoli che sembra non credere in quello che fa

È un Napoli che sembra non credere in quello che fa

Due a due a Milano, contro l’Inter. Come quando pareggiammo nel finale con Raimondo Marino e Criscimanni. Ma quanto è diverso questo pareggio. Un risultato positivo – lo confermo – e che, fatta eccezione per Callejon, è l’unico aspetto buono di una serata che ha invece ha lasciato non pochi malumori. Nonostante il quarto risultato utile consecutivo in campionato. 

È vero, Benitez la partita l’aveva preparata in questo modo. Lo aveva lasciato intuire sabato in conferenza stampa e lo ha ripetuto ai giornalisti dopo il match. Un atteggiamento in stile Fiorentina-Napoli dello scorso anno. E fin qui può andar bene, anche se vedere gli azzurri regalare campo in quel modo all’Inter è da torcimenti nello stomaco. Una quantità abnorme di passaggi sbagliati, non un tentativo di possesso palla. Loro correvano, noi passeggiavamo. Insomma, inguardabile. Non tutti gradiscono le statistiche, e invece i numeri aiutano: probabilmente mai il Napoli di Benitez ha avuto meno del 40% di possesso palla nel primo tempo; e raramente una squadra di Mazzarri è salita sopra il 60%. Eppure è successo. Il Napoli, di fatto, non ha mai tirato in porta. L’Inter ha colpito il palo con Hernanes e sfiorato il gol due volte con Icardi. Avremmo meritato di chiudere sotto almeno di un gol, anche se non è stato un assedio.

Nel secondo tempo la musica cambia. Il Napoli sale, l’Inter non tira più in porta. Si può dire – col senno di poi e con la fortuna di non essere passato in svantaggio – che Benitez ha confezionato bene la partita. Ma qui veniamo alle note dolenti. Non dico una grande squadra ma una squadra che si sente e si percepisce come superiore, a questo punto si avvia inesorabilmente verso lo scacco matto. In mezzo al campo ci si annusa, si percepisce l’aria che tira. E invece c’è un aspetto del Napoli che a volte sembra essere diventato un difetto ineliminabile: la mancanza di consapevolezza. È come se la squadra seguisse uno spartito che però non le è entrato nell’anima. Non sempre è stato così: abbiamo giocato – lo scorso anno – splendide partite ostentando sicurezza, persino all’andata a Roma, quando perdemmo 2-0; quest’anno non è mai accaduto. La conseguenza di questa sorta di sdoppiamento è la continua sensazione di non vivere nei propri panni. 

Il Napoli va anche in vantaggio ma allo stesso tempo trasmette un messaggio di insicurezza: “non gioite troppo perché non è finita”. Si percepisce persino in tv, figuriamoci in campo. Perché la squadra – nonostante una serie di assenze inspiegabili sul terreno di gioco, Hamsik e Higuain su tutti – prima colpisce un palo e poi in vantaggio ci va davvero. Col solito Callejon. Non un’azione straordinaria, per carità, ma non è detto che dobbiamo essere sempre noi a commettere gli errori difensivi.

Nemmeno il tempo di esultare che alla prima occasione l’Inter pareggia. In maniera incredibile. Su calcio d’angolo. È il quinto gol che prendiamo su calcio piazzato: la rete del pareggio a Bilbao (ieri sera, al momento del corner, in campo non c’erano né Maggio né Britos), il gol dello Sparta Praga, il primo gol del Palermo, la rete dell’Udinese, e quella di ieri. Cui vanno aggiunti i gol di testa di Pinilla, e di Hernanes. In tutto sette. Francamente troppi. Ma questo è un dato tecnico. Su cui ci possiamo soffermare in altra sede.

Quel che colpisce è la dimostrazione di apparente debolezza mentale che fornisce il Napoli. E non si può dire che la squadra non reagisca. Perché stavolta ha reagito. Dopo l’1-1 in tanti avranno pensato al peggio e invece abbiamo più o meno ripreso a giocare. Fino al gol del 2-1. Splendido tra l’altro. Per l’assist di David Lopez e per l’esecuzione del solito Callejon, capocannoniere del campionato – al pari di Honda e Tevez – con sei reti. 

L’aspetto più triste è che non ho mai pensato di aver vinto, nemmeno dopo aver segnato al 90esimo. Ed è un comportamento incredibilmente insolito per le squadre di Benitez, per la storia dell’allenatore spagnolo, da sempre deriso e attaccato dai colleghi per il suo difensivismo.

Insomma, va bene preparare la partita in un certo modo, regalare un tempo agli avversari, provare a farli stancare per poi colpire. Ma, dopo, quando è il nostro momento, bisogna far male. Il colpo deve essere da ko. Questo manca al Napoli. È mancato l’anno scorso per buona parte della stagione, poi sembravamo averlo acquisito. Quest’anno è come se fossimo ripartiti daccapo. È un difetto che va corretto al più presto, altrimenti diventa arduo raddrizzare la stagione. 

E in più abbiamo calciatori che stentano a trovare la condizione. Non solo Hamsik. Diciamoci la verità: se Higuain fosse nato a Torre del Greco, sarebbe già stato travolto da un’ondata di fischi e contestazioni. Mentre, in tutta onestà, non ho ben capito tutte queste critiche a Rafael. Ok, non infonde sicurezza, ma ieri era del tutto incolpevole sui gol. 

In conclusione, mi sarei aspettato una vittoria a Milano, lo confesso. Ne ero certo. È un mezzo passo indietro, per quel che mi riguarda. A parte il risultato. Però ci sono anche gli aspetti positivi. Sui quali, stavolta, non mi soffermo. Ma ci sono. Callejon, David Lopez, Koulibaly, Britos, la capacità di far male al minimo affondo (particolare non da poco). Continuo a credere che questa squadra possa risvegliarsi e che il problema sia la mancanza di fiducia in se stessi. È come se dovesse girarsi una chiavetta. Poi, potremmo vedere una squadra trasformata. Per ora, il condizionale è d’obbligo.
Massimiliano Gallo

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