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Voi affidereste Bagnoli a De Laurentiis?

Non sia mai il marziano di Flaiano decidesse di tornare a Napoli vent’anni dopo. Cadrebbe in una crisi di panico. Ritroverebbe più o meno gli stessi titoli di giornale su Bagnoli. Siamo all’accordo di programma o alla variante del piano regolatore. Piano regolatore che, per carità, non c’era vent’anni fa. Ma siamo lì. Fu prodotto dalla giunta Bassolino, partorito da Vezio De Lucia. Che ipotizzò una sorta di foresta amazzonica al posto delle ciminiere. Nacquero anche la Bagnoli spa e Bagnolifutura. Vent’anni sono trascorsi e tanti, tanti soldi sono passati. Vent’anni dopo, par di capire, è stato realizzato ben poco. In mezzo, Bagnoli ha prodotto l’arricchimento dei presidenti e dei consiglieri d’amministrazione che si sono succeduti, e poco più. Città della Scienza, fiorellino all’occhiello, è andata in fumo. Dall’alto, si ammira la stessa distesa di vent’anni fa. Con un bel po’ di capannoni in meno. E senza l’ombra di acquari e farfallari. Napoli è ferma a Bagnoli. Ci hanno rubato il futuro, ha detto Matteo Renzi. Anche il congiuntivo, se ci passate la battuta. E il pensiero non può non andare a Bagnoli quando ascoltiamo Aurelio De Laurentiis. Lui che napoletano non è. E che, in splendida sincerità, manco vorrebbe esserlo. Il 6 settembre – preparatevi – sarà celebrato il suo decennio alla guida del Napoli. Avevamo imboccato ormai da quasi quindici anni il cinematografico viale del tramonto. Nel 1994, quando si ricominciò a parlare di Bagnoli, a Napoli allenava un certo Marcello Lippi. Che in estate andò alla Juve e portò con sé Ciro Ferrara. Tra i gioiellini rimase solo Fabio Cannavaro, ancora per poco. Quel Napoli terminò il giorno in cui Corrado Ferlaino – memore di una potenza che non c’era più – orgogliosamente esonerò Gigi Simoni mandando la sua creatura a sbattere contro lo scoglietto Vicenza in finale di Coppa Italia: al timone aveva promosso Vincenzo Montefusco. Tutto questo, e tanto altro, Aurelio De Laurentiis non lo sa. E nemmeno gli interessa. Arrivò il 6 settembre del 2004 e, come ha perfidamente rilevato Pier Paolo Marino, non sapeva nemmeno quante sostituzioni fossero consentite. Magari ignorava persino in quanti si giocava. Lo abbiamo preso in giro perché non conosceva il calcio. Eppure appena arrivò disse di ispirarsi a Della Valle, un altro che il pallone nemmeno sa dove sta di casa. Lo abbiamo considerato un corpo estraneo, uno spurio. Dall’alto (o dal basso) della nostra saccenza calcistica. Lui, in realtà, aveva adocchiato altro: ’o bisiniss (scritto proprio così). Dieci anni dopo, è arduo dargli torto. Dieci anni dopo, è arduo non riconoscere che ha trasformato il Calcio Napoli in una realtà produttiva come ce ne sono poche (per non dire nessuna) dalle nostre parti. De Laurentiis è stato ed è un ottimo imprenditore. Sa governare in maniera esemplare le navi di media taglia. Probabilmente è consapevole dei propri limiti ed è un vantaggio non da poco. Non si arrischia in mari che non conosce. Non solo. Aurelio De Laurentiis è stato pioniere di un’operazione insolita per il calcio italiano. Un’operazione di smascheramento. De Laurentiis non è tifoso. Manca poco che lo dica esplicitamente. De Laurentiis parla di soldi e di fatturato. Sempre. Anche dopo un’eliminazione dalla Champions che ancora brucia. Richiama il tifoso alla realtà. Una realtà che è fatta di bilanci e plusvalenze. La realtà del calcio. È un prestigiatore che sale in pedana e grida: “È tutto un trucco, adesso ve lo svelo”; ma il pubblico, immancabilmente, lo scongiura di non farlo. Vogliamo restare bambini. Per non dire altro. E lui ci accontenta. Con i tweet sul ragù che sta pippiando sulla sua cucina di Los Angeles o con le dichiarazioni sulla napoletanità. Può farlo, ha la coscienza a posto. Ci ha detto in ogni salsa che a lui dello scudetto non interessa nulla. Ce lo ha ripetuto sabato scorso. Ce lo dice ogni anno con i premi che distribuisce ai consiglieri d’amministrazione (che poi sono i suoi familiari): i più alti d’Italia. Il calcio, amici cari, è bisiniss. Eppoi – potrebbe aggiungere – in fin dei conti non vi tratto nemmeno così male.E sì, perché se noi togliamo Maradona, De Laurentiis è il presidente che ha vinto di più nella storia del Napoli. Lauro aveva vinto una Coppa Italia (e una Coppa anglo-italiana), così come Ferlaino. De Laurentiis ne ha vinte due. Il nostro albo d’oro – al netto di Diego e i suoi fratelli – è tutto qui. De Laurentiis ha costruito un’azienda che funziona in una città in cui – come disse lui in uno sfogo memorabile – funziona poco (lui disse altro). È una ditta individuale, lo sappiamo. Lo abbiamo scritto noi. Ma rende. Ed è cresciuta. Nel 2004 giocavamo a Gela, nel 2014 disputeremo i preliminari di Champions League. Il dibattito su De Laurentiis non si esaurirà certo oggi. Presuntuosamente, però, suggeriamo una variante: la discriminante non è la domanda sullo scudetto, sul “vogliamo vincere”. No, la domanda spartiacque è un’altra: voi affidereste Bagnoli ad Aurelio De Laurentiis?Massimiliano Gallo

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