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La Repubblica italiana è morta, non c’è nulla da festeggiare

Sono sessantasei anni che il 2 giugno si festeggia la Festa della Repubblica Italiana. È un modo per ricordare il referendum istituzionale del 1946, quello in cui, a suffragio universale, gli italiani vennero chiamati alle urne per scegliere quale forma di governo, tra monarchia e repubblica, volessero dare al Paese in seguito alla caduta del fascismo. Dopo 85 anni di monarchia, gli italiani scelsero la repubblica, e così la casa Savoia venne esiliata. Poi ci fu la Costituzione, quel pezzo di carta che oggi fa acqua da tutte le parti. Domani è il 2 giugno, ma non è un giorno di festa, una celebrazione di una nascita. È un giorno di lutto. Domani si celebra la morte della Repubblica. Sarebbe ora di riconoscerlo. Perché non vedere è da pazzi. È la miopia la cosa che fa più male. Quello che è un disturbo che gli oculisti si affannano a correggere fin dai primi sintomi bambini, per i nostri politici è quasi un difetto da cullare. Come l’ottusità. Ieri sera, in televisione, sono andate in onda le interviste ad alcuni dei terremotati dell’Emilia. C’era una donna, un’imprenditrice, che da anni lavora per lo Stato, per fornire materiale sanitario allo Stato. Raccontava di essere pagata a ventiquattro mesi e, come lei, altri imprenditori intervistati dopo. Raccontavano che loro, nonostante tutto, hanno sempre continuato a lavorare, foraggiando lo Stato. Nonostante. Come il fondo di Gramellini sulla Stampa di oggi. I terremotati continuano a vivere, a voler vivere, nonostante. Nonostante i politici non abbiano contezza alcuna della realtà. Quando le hanno chiesto cosa vorrebbe dallo Stato, quella donna ha detto “sostegno”. Ha detto “basta parole, siamo tutti bravi a parlare”. Ha detto che vorrebbe solo che i politici si calassero nella realtà, andassero a vedere cosa significa la realtà, toccassero con mano, si rimboccassero le maniche come tutti loro. Pertini, in occasione del terremoto dell’80, andò immediatamente a vedere di cosa si trattasse. Rilasciò delle dichiarazioni, subito dopo, per denunciare i ritardi nei soccorsi. Pertini aveva 84 anni, allora, ma era più lucido di un ragazzino di 15. Un uomo, prima che un Presidente della Repubblica, uno che è sempre stato vicino alla gente e per questo, forse, è rimasto il Presidente più amato dagli italiani. Per me, che ho quarant’anni, è ancora l’unico. Di Cossiga ricordo le picconate, ma non è lo stesso. Adesso abbiamo Napolitano, un partenopeo. Uno che non vede Grillo, non vede la crisi, non vede la necessità di fermare una parata inutile, anche se i soldi sono già stati spesi, non vede niente. Non vuole vedere. Miope. Abbarbicato alla poltrona come tutti gli altri. La cataratta a lui gli fa un baffo. È miope. E abbiamo Monti, che in materia di Economia ne sa forse meno di uno studente di economia, perché anche uno studente alle prese con l’esame di Politica Economica sa che se blocchi il piccolo consumo blocchi un paese intero, perché a comprare e a far girare l’economia sono quelli che spendono in beni di consumo, in piccoli beni. Se tassi loro fino a togliere loro il respiro, non avranno nulla da spendere per mangiare, per l’essenziale. Non sono i beni di lusso quelli che mettono in circolo l’economia. A chi giova tassare i già miserabili tassati alla fonte da un lavoro dipendente? E quelli che chissà come lavorano a nero? Blocchiamo il lavoro nero, già, così intere città del Sud muoiono in un attimo, peggio che se eruttasse il Vesuvio. Domani non dovremmo uscire di casa. Dovremmo listare a lutto le finestre di tutta la Penisola, esporre un drappo nero come la morte in cui ci stanno relegando vivi. Una Repubblica democratica basata sul lavoro, in cui la sovranità appartiene al popolo. Dov’è il lavoro? E il diritto di ognuno a vivere con dignità? Chi ci ha chiesto ciò che realmente vogliamo? Basta un numero verde fittizio e bugiardo per interrogare un popolo? Dov’è la pari dignità sociale e l’uguaglianza di fronte alla legge? Dove, se il Parlamento è pieno di ladri e imbroglioni? Dov’è la Repubblica che dovrebbe promuovere lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica? E quella che dovrebbe tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione? Dove? La Repubblica italiana è morta. Defunta. Sepolta sotto quintali di macerie che non sono quelle di un terremoto. Il terremoto dell’Emilia è una maledizione, un segno, qualcuno lassù ci sta pregando di fermare questo mostro pieno di facce che ci manda a morire ammazzati. E noi restiamo qui a sputare sentenze attraverso il Web o la carta stampata, senza fare l’unica cosa che sarebbe necessario fare: andare a prenderli uno per uno e seppellirli un po’. A mani nude, come quelle che scavano tra le macerie dell’Emilia. Perché come diceva Pertini, “Il modo migliore per ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”, non di ammazzare pure loro. Nel 1976, la Parata del 2 giugno non venne effettuata, in seguito al disastroso terremoto che sconvolse il Friuli: “La parata militare del 2 giugno, quest’anno, non si svolgerà. Lo ha comunicato il ministro della difesa Forlani, con una nota ufficiale. La decisione è stata presa a seguito della grave sciagura del Friuli e per far si che i militari e i mezzi di stanza al nord siano utilizzati per aiutare i terremotati anziché per sfilare a via dei Fori imperiali”. Questa si chiama dignità. Concludo riportando la cosa più bella e giusta che abbia letto nell’ultima settimana, su un profilo Facebook: “il 2 giugno mentre Napolitano e i suoi invitati nei giardini del Quirinale brinderanno alla Repubblica, in Emilia saranno celebrati i funerali delle vittime del terremoto. Due giorni dopo Napolitano e i suoi ospiti saranno a lutto. Lutto nazionale, ma prima la parata, il ricevimento per i soliti noti a caviale e champagne. Una sola parola: vergogna. E si vergognino tutti i politici che danno del demagogo a chi chiede di abolire la festa. La stragrande maggioranza degli italiani non vuole celebrazioni ipocrite”. Lo scrive Carmelo Sardo, giornalista Tg5. Gli chiedo immediatamente l’amicizia. Ilaria Puglia

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