De Rossi: «Spalletti e Conte ti spiegano cosa fare in campo, alcuni alle spiegazioni di Luciano sbadigliavano»
A Dazn: «Io me le mangiavo con gli occhi. In Italia ci sono molti allenatori bravi, Allegri fa un calcio diverso ma poi una domanda te la fai: perché è sempre lì su in classifica?»

Ci Salerno 29/01/2024 - campionato di calcio serie A / Salernitana-Roma / foto Carmelo Imbesi/Image Sport nella foto: Daniele De Rossi
Daniele De Rossi, tecnico del Genoa e prossimo avversario della sua amata Roma in campionato, ha rilasciato una lunghissima intervista a Dazn che riportiamo integralmente di seguito.
De Rossi: «Guardavo le riunioni di Spalletti e me le mangiavo con gli occhi»
Come hai fatto a coniugare interessi extra-calcistici all’idea di stare sempre qui dentro?
«Mi sono fatto esonerare prestissimo, questa è la soluzione (ride, ndr)».
Hai rifiutato tante offerte durante il periodo in cui sei stato fermo? Ti sei pentito di alcune scelte?
«No. Non ho rifiutato perché avevo voglia di andare, sono gli altri che hanno rifiutato me. Quando ho rifiutato, l’ho fatto forse per la categoria e perché in alcune situazioni non vedevo molto chiaro. Nelle prime due esperienze, in maniera diversa, ho avuto problemi con i dirigenti: alla Spal ho avuto problemi, ma ora quel dirigente (Lupi, ndr) lo sento ancora adesso e abbiamo chiarito. Anche alla Roma ho chiarito con l’amministratore delegato (Lina Souloukou, ndr).
Niente di clamoroso, ma comunque c’erano problemi. Non voglio mettermi in una condizione in cui possa tornare ad averli e non voglio che passi il concetto che io sia uno che ha problemi con i dirigenti. Alla Spal parlai di quanto io non fossi contento del mercato in conferenza, dissi la verità. Il presidente Tacopina si arrabbiò e mi disse: ‘Chi ti ha detto che puoi dire la verità sulla mia squadra?’. E io lì ho capito tante cose».
Cosa ti è rimasto dell’esperienza della Roma?
«A vederla adesso, un po’ mi dispiace quello che è successo. Nonostante io stia benissimo, mi dispiace perché sta avendo un exploit che io avevo predetto: dissi che certi giocatori il primo anno avrebbero fatto fatica, nel secondo sarebbero esplosi e nel terzo, continuando con quel mercato, avremmo lottato per lo scudetto. Non eravamo proprio pazzi a puntare su questo gruppo, dato che per me è molto forte».
Non ti credevano quando lo dicevi?
«I presidenti pendevano dalle mie labbra, con loro avevo un rapporto costante. A livello calcistico ho sempre avuto ampia libertà sulle scelte, si fidavano, mi chiedevano e si confrontavano. Mi hanno iniziato a chiedere le cose ancor prima di confermarmi per i successivi tre anni. Da quel punto di vista c’era grande rispetto dei ruoli da parte di tutti. Poi si sono un po’ incrinate le cose e mi dispiace, ma quello che è successo io e il mio staff non lo meritavamo. Non sei mai pronto all’esonero, era molto presto. È successo a Genova e ora questa squadra ha un debito con me (ride, ndr)».
L’hai vissuta come un’ingiustizia?
«Ci passi sopra perché io pensavo e penso di essere a posto con la coscienza. Non ho mai abbassato di un centimetro l’impegno che ho messo lì dentro, non ho mai tradito chi era lì, non ho mai usato il ‘potere’ che avevo in quella città per proteggere me e andare contro i giocatori o per andare contro la società. Se mi fossi tradito da solo non sarei stato così orgoglioso di ciò che abbiamo fatto. Ogni volta che vieni esonerato, smetti di vivere ciò che ti piace. Non penso di aver avuto più dolore dall’esonero dalla Roma che dalla Spal, non cambia niente: ti manca il fatto che saluti i giocatori e poi non li vedrai più. Quando ho salutato a Ferrara, eravamo in una palestra più brutta di quella di Trigoria, con dei giocatori meno bravi, con una società meno forte, ma il dolore era lo stesso e i ragazzi piangevano tutti… Ti rimane il senso di incompiutezza, quel ‘fammi fare che la rimetto a posto e andremo alla grande’. Questo ti rimane e ogni tanto ritorna fuori».
Quando sei diventato allenatore del Genoa hai subito guardato il calendario e visto quando saresti tornato a Roma?
«Sì, ho guardato quando avrei giocato con la Roma e la Lazio (ride, ndr)».
Non vedi l’ora?
«Si tratta di una sensazione particolare. Da bambino la vivi in un modo, da ragazzo del settore giovanile in un’altra maniera, da giocatore in maniera focosissima e da allenatore in modo folle. Ho sempre desiderato tutti i giorni che la Roma vincesse, questa è la cosa che mi fa più ridere. Per una settimana dovrò lavorare per far perdere la Roma… Ora non salto sul divano quando guardo la Roma, ma la vedo da collega e da ex giocatore. Se vince però sono contento».
C’è stato un momento in cui potevi tornare alla Roma?
«No, non penso ci sia mai stata davvero la possibilità. Hanno fatto una scelta talmente evidente e chiara… A Roma si parla sempre e il mio nome accostato alla Roma funziona sempre. Ma non credo sarebbe stato il passo giusto per me, anche se ovviamente sarei tornato subito perché credo nella squadra e nei giocatori».
Spalletti?
«Spalletti è geniale. Mi ha sempre spiegato quello che mi faceva fare e lo stesso Antonio Conte. Non c’era niente lasciato al caso ed era tutto nell’ottica di far giocare meglio la squadra. Anche Ranieri diceva: ‘È meglio un’idea mediocre che fanno tutti che un’idea geniale che capiscono in quattro. Io assorbivo tutte le riunioni, quella di Spalletti me la mangiavo con gli occhi mentre c’era gente che sbadigliava. Mi piaceva, sono sempre stato appassionato di calcio sotto l’aspetto tattico. Mi piace capire cosa sta succedendo intorno a me».
Un altro che ti ha influenzato?
«Ho avuto Luis Enrique quando era molto giovane. Ha cambiato tutto rispetto all’inizio, si è evoluto. Alla Roma mi spiegò ciò che andava di moda nel mondo, ovvero il Barcellona e ci spiegò perché dovevamo fare quei passaggi e quando farli. Mi sono sempre legato alla persona, alle spiegazioni che ti dava. Per me è stato illuminante, ha cambiato il modo di approcciarmi».
Da chi prendi ispirazione?
«Siamo andati a guardare Maresca al Chelsea, ha qualcosa di geniale. Anche Iraola al Bournemouth, sia per il rapporto che c’è con Tiago Pinto sia per ciò che fa l’allenatore. C’è sempre la curiosità dietro questo. Poi non smetto di guardare Spalletti, Gasperini, Conte. In Italia ci sono tanti allenatori bravi. Italiano è quello che sta facendo meglio negli ultimi anni ed è uno che mi incuriosisce molto. Fabregas non è più una sorpresa, ma è una bella scoperta perché cambia di partita in partita e regala sempre uno spunto. Sarà una settimana faticosa di preparazione quando giocheremo contro il Como. Chivu che ha messo qualcosa di suo, poi c’è la stima per Allegri che magari fa un calcio un po’ diverso. Ma te la vuoi fare una domanda se quello sta sempre lì su? Ci sono allenatori che magari non vuoi copiare calcisticamente, ma vorresti copiare i suoi risultati. Il mio idolo è Guardiola, è il migliore».
L’avventura al Genoa?
«Tutto molto affascinante. Non so quante squadre abbiano il centro sportivo che sembra la cappella Sistina. Dobbiamo essere bravi a non disperdere tutto questo».
Parli con i giocatori che lasci in panchina?
«Renzo Ulivieri mi ha detto di non dare troppe spiegazioni perché poi ti vai a incartare. Ho avuto spiegazioni poco convincenti da alcuni allenatori. Nella parte finale della mia carriera ho fatto diverse panchine. Un allenatore mi disse: ‘Oggi non giochi con il Real Madrid perché domenica c’è l’Ascoli ed è più importante. Non dirò chi è, ho scambiato le squadre per non far capire. Resta comunque un bravo allenatore. Se mi dici le bugie mi incavolo».
Il tuo sogno era finire la carriera alla Roma?
«Sì, ma ero anche tanto curioso di vedere cosa c’era di fuori».
Come hai reagito al mancato rinnovo?
«Non ho odiato così tanto smettere quanto avrei odiato trascinarmi in campo. Quando mi hanno comunicato alla Roma la decisione io lo avevo capito, si protraeva da troppo tempo. Giravi l’angolo e vedevi il dirigente che si girava subito per non incrociarti (ride, ndr). L’ho vissuto in maniera molto serena. Avevo paura del dopo, ma io ho chiesto di saperlo. Era l’elefante dentro la stanza, tutti ne parlavano ma io volevo saperlo.
Ero curioso e poi volevo salutare i miei tifosi nonostante non sia un amante degli addii. Chiesi a Guido Fienga di dirmi le cose perché avrei voluto fare una conferenza stampa per ringraziare, salutare con un giro di campo. E lui mi disse che l’intenzione era non rinnovare il contratto. Avevo due alternative: provare a convincerli, ma a livello di dignità avrei perso parecchio. Non ti do la gioia di farmi vedere stramazzato sotto la Sud perché voglio rimanere.
Volevo uscire con eleganza, rappresento un bel pezzo di Roma e del calcio italiano. Cosa mi cambiava un anno in più? Ero preparato perché avevo visto la fine della carriera di Francesco (Totti, ndr). Quando ha smesso era distrutto, ne ho parlato mille volte con lui e io non volevo stare così male. Ho provato a prepararmi, smettere di giocare a calcio è stata una botta anche per me. Io ho smesso e dopo due mesi c’è stato il Covid: smetti col calcio, smetti di uscire, smetti di vedere persone… Per un attimo mi sono chiesto cose stesse succedendo».
Hai ricevuto offerte dall’Italia dopo l’addio alla Roma?
«Io volevo vedere nell’almanacco solo la Roma accanto al mio nome. Mi chiamarono De Zerbi al Sassuolo e Montella alla Fiorentina. Non sarebbe stata una fine con il botto. Ma io non volevo giocare contro la Roma e sapevo che i tifosi non l’avrebbero presa bene. A qualcuno non è piaciuta nemmeno la scelta del Boca».











