Panatta: «Pietrangeli non conosceva invidia, su Sinner non lo hanno capito. Io non l’ho mai tradito»

Sul Corsera. «Quelle frasi venivano dall’umanissimo bisogno di non sentirsi superato dalla Storia. Nicola c'è sempre stato, quando io nacqui disse a mio padre "e chissenefrega"»

Panatta Pietrangeli sinner

Torino 20/11/2022 - tennis Atp / foto Imago/Image Sport nella foto: Nicola Pietrangeli ONLY ITALY

“Ci siamo trovati dalla stessa parte della barricata, o al contrario, ai poli opposti di una polemica, l’amicizia non è mai venuta meno, un legame a suo modo curioso, ma unico e indistruttibile. La verità è che uomini come lui appartengono a categorie particolari, forse speciali, e non sono mai identificabili con una sola parola, anzi, ne esigono molte, perché rappresentano più cose insieme ed entrano nella vita degli altri da protagonisti. Ti possono piacere o meno, puoi condividerli o respingerli, ma ignorarli mai, non è possibile”. Adriano Panatta saluta Nicola Pietrangeli sul Corriere della Sera, non con un’intervista, di sponda: firma un pezzo tutto suo. Intimo, ma anche molto franco, non di maniera.

Ricorda che un Pietrangeli che c’è “sempre stato nella mia vita, qualche volta facendo appena capolino, o solo per l’implacabile gusto di dare corpo a una battuta, altre in modo plateale, o più etereo, con i suoi gesti, le sue frasi da reginetta della festa. E alla fine, negli ultimi giorni in cui lo sapevo malato, e ci siamo sentiti, con un pensiero, o una frase detta in tivù, nella speranza che gli arrivasse, e la sentisse. C’era quando nacqui, e mio padre, orgoglioso della sua prima paternità, volle annunciarlo a tutti i tennisti del Parioli. «Lo sapete? Sono diventato padre!». «E chissenefrega non ce lo metti?», la replica di Nick. C’era a Formia, quando studiavamo da tennisti con papà Belardinelli. «Allora, ragazzi, oggi fate due palle con Nicola»… Io aspettavo il momento, e poi via, andavo a rete. E lui, «a ragazzì, ma che fai? M’attacchi?».

Panatta gli rende onore anche sulla questione (proditoriamente mediatica) Sinner. “Condividevamo una dote rara: non conoscevamo l’invidia, per nessuno. Non faceva parte del nostro modo di essere… Accidenti all’età, che distrugge le parti migliori di come siamo stati. Negli ultimi anni alcune sue dichiarazioni sono suonate meno comprensibili, a volte stonate, altre inutili. Su tutte certe sue sortite su Sinner, che venivano da quell’umanissimo bisogno di non sentirsi superato dalla Storia. «Co’ te bisogna avé pazienza», non so quante volte gliel’ho detto. «Ma come ti va di metterti a confronto con Sinner, ti ha superato, e allora? Non sei contento? Datti pace…». «Non mi hanno capito», si lamentava, «quel ragazzo è fortissimo, una meraviglia, io volevo solo dire che la strada resta lunga, perché così è nello sport, e non voglio che Sinner lo dimentichi mai». Eh, d’accordo, ma se lo dicevi così non era meglio? Niente, «co’ Nicola bisogna avé pazienza». Come quando ripeteva che la sua cacciata da capitano di Coppa fu un “tradimento”, e finiva per tirarmi in ballo. «Aridaje Nicò, era la squadra che non ti voleva più. Io cercai di farli ragionare ma la decisione era presa, e davvero non mi potevo mettere contro i miei compagni, non l’avrei fatto mai»”.

“Ho sempre pensato che la Storia che lui ha ricevuto da altri, l’abbia recapitata a noi, ragazzi degli anni Settanta. Spero sia successo anche tra noi e questa nuova generazione. Non lo so, qualcuno ci dirà… Gli mando un bacio. Gli ho voluto bene”.

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