Il campione di kickboxing Giorgio Petrosyan: «Quando sono arrivato in Italia avevo 13 anni e tredicimila risse in Armenia»

Alla Gazzetta spiega i motivi del ritiro: «La voglia c’è, ma preparare un match è diventato un inferno. Quando la testa vuole spingere il corpo le dice: “Oh, fermati, mi c'hai 20 anni”».

Giorgio Petrosyan

Milano 09/04/2008 - Presentazione Oktagon, finale del torneo mondiale di Kick-Boxing / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Giorgio Petrosyan

La Gazzetta dello Sport intervista Giorgio Petrosyan, campione di kickboxing, che ha deciso di ritirarsi, per lui è in programma un ultimo combattimento sabato sera all’Allianz di Milano contro il portoghese José Sousa.

Petrosyan, perché smette?

«La voglia c’è, ma preparare un match è diventato un inferno. Sa quanti infortuni ho avuto?».

No, elenchi.

«Mi sono rotto 11 volte la mano sinistra, la destra non so nemmeno quante, poi tre fratture della mandibola, le ginocchia, i piedi, l’ernia cervicale, il naso spaccato che per me è normale. Mi sono sempre operato in tempo e ho risolto i problemi, ma quando la testa vuole spingere il corpo le dice: “Oh, fermati, mi c’hai 20 anni”».

La guerra, dicevamo. Pochi anni dopo lei, suo padre e suo fratello Armen vi nascondete su un camion e arrivate in Italia.

«Ricordo qualche mese prima un Italia-Brasile in tv. Io tifavo Brasile e pensavo che sarebbe stato bellissimo andare lì, mio fratello Armen tifava Del Piero e diceva che era meglio l’Italia. Alla fine si avvera il suo, di sogno.Ma i primi ricordi dell’Italia sono tremendi: la stazione centrale di Milano, un freddo cane, non sappiamo dove dormire, io ho la febbre a 40 e la gola in fiamme, mio padre che cerca aiuto». 

Poi finite alla Caritas di Gorizia.

«E anche lì mi alleno, da solo. Lego dei materassi a un palo, provo calci e pugni. Un amico armeno mi porta alla palestra di Paolo Vidoz, ma lui è a Sydney per leOlimpiadi e devo aspettare che torni per iscrivermi. Migliorare per me è un’ossessione, mi alzo all’alba, chilometri di corsa, poi vado a lavorare in cantiere e mi faccio assegnare apposta i lavori più pesanti per acquisire forza. A vent’anni smetto di fare il muratore perché andare in palestra una volta al giorno non mi basta più». 

Com’è l’Italia per chi arriva da fuori?

«Qualcosa non funziona. Chi sbaglia non paga. Quelli che arrivano non sono tutti uguali, per chi spaccia, ruba e fa casino servono regole più severe, non è possibile che escano dopo due giorni e riprendano a fare il c… che vogliono».

Lei allena tanti ragazzi, vede il fuoco che aveva lei?

«No. So che è un errore fare paragoni, ma se proponessi in palestra gli allenamenti che facevo a 16 anni una persona normale non resisterebbe tre giorni».

Come mai?

«Quando sono arrivato avevo 13 anni e tredicimila risse in Armenia, un’altra mentalità. Tanti li vedi che si allenano solo per farsi una foto, metterla sui social e far vedere agli amici che combattono. È che in Italia si sta bene. Se stai bene dove la prendi la cattiveria?». 

Correlate