Ora Ponzio Gravina porterà Acerbi nelle scuole come esempio di fedeltà alla Nazionale

Che siano scommesse, Juve, Covid o razzismo per il Presidente della Figc se ne lava sempre le mani. L'assenza di Acerbi è grave, ma Gravina assolve tutti: sempre, comunque

Gravina calcio italiano

Dc Firenze 23/02/2024 - amichevole / Italia-Irlanda femminile / foto Domenico Cippitelli/Image Sport nella foto: Gabriele Gravina

Nessuno si aspettava che davvero Gravina usasse le lamette. Il presidente della Federcalcio ha accolto – i verbi sono tutti pastorali, per assuefazione al contesto – il no di Acerbi alla Nazionale porgendo le altrui guance: “Ognuno di noi sente quello che è il proprio senso di appartenenza”, ha detto premurandosi di “non entrare nel merito delle valutazioni soggettive di Acerbi”. E non sia mai: il ruolo impone tatto, prudenza agonistica, continenza e garbo istituzionale. Tanto è vero nessuno ha assorbito la polemica, sui giornali. Disinnescata, un classico.

Ora che anche Kean ha lasciato il ritiro di una Nazionale in decomposizione, la scelta del difensore dell’Inter (uno tramandato ai posteri con la narrazione dei santi, emendandone spigoli e figuracce passate) è ancor più grave. Soprattutto perché gli si lascia passare la solita retorica del “vestire la maglia azzurra è sempre stato un onore e un orgoglio per me”, mentre abbandona la nave per questioni sue e del ct. L’onore. L’orgoglio.

Gravina tace e acconsente, ovviamente. Capace com’è di arrotolarsi in acrobazie diplomatiche pur di non opporre mai un po’ di resistenza a niente. Ve li ricordate i balconi della pandemia con la nenia sugli striscioni “andrà tutto bene”? Ecco: Gravina è rimasto lì. Va sempre tutto bene. Che sia il Covid, la Juve, le scommesse, il razzismo: non c’è problema. Nel senso che proprio non c’è: non esiste.

Ricordiamo il Professor Gravina, noto virologo della Scuola Mancini, che nel 2021 davanti ai 27 contagiati del ritiro della Nazionale disse che no, non si poteva parlare di “cluster”. Era un “summit”, più che altro. Perché “tra i contagiati sono state individuate varianti differenti del virus, quindi il cluster della Nazionale non è un cluster: la catena non è mai stata alimentata”.

Ricordiamo il Gravina Montessoriano contro i cori razzisti negli stadi – sempre ovviamente “beceri” –  che rappresentavano una “ferita lacerante nella nostra socialità”, ma che andavano sconfitti “con un processo di educazione”. Auguri.

Ricordiamo Ponzio Gravina colto da un lampo di istintiva indignazione quando gli chiesero – maledetti giornalisti – se le vittorie della Juventus non potessero considerarsi “irregolari”. “E’ vox vostra, dei giornalisti, non vox populi”, disse. Perché a lui “non piace l’idea di sanzionare alcune realtà, nel caso specifico la Juventus, prima che ci sia un processo”. Il garantismo nel dna.

Ricordiamo che per la stessa questione passò lunghi mesi a produrre rappresentazioni jazz di politichese antico. Fino al capolavoro: disse “mondo endofederale”, e i giornalisti, coagulati davanti a lui, muti. Come suonava bene… “endofederale”… Che vuoi dire di più. Era Gravinese puro. Un dialetto che i giornali passano ai lettori affinché questi ultimi possano immediatamente voltare pagina, respinti dal concetto ma peggio ancora dalla fatica di capirci qualcosa.

Ricordiamo, ma sorvoliamo per carità di patria, il Gravina che dominò l’ultimo scandalo scommesse promuovendo i colpevoli a ludopatici pentiti: riuscì a commutarne le colpe in esempi virtuosi. Ora, attenzione, ci aspettiamo che trascini Acerbi nelle scuole a raccontare ai bambini la favola dell’onore e l’orgoglio nell’ indossare la maglia della Nazionale. Tutto è possibile. E se butta male, magari un bambino fa una domanda scomoda… “endofederale!”. Provateci, funziona.

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