I calciatori che parlano di arbitri vengono puniti, è scandaloso e incostituzionale (El Paìs)
"La critica è considerata un atto di indisciplina, e viene punito da un regolamento che va contro la Costituzione spagnola"

Db Torino 19/01/2023 - Coppa Italia / Juventus-Monza / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: cartellino giallo
Ogni nazione calcistica in questo momento ha le sue polemiche arbitrali. Se in Inghilterra il mostro è la Var, in Spagna il dibattito va avanti da settimane sull’impossibilità di parlare (male, soprattutto) degli arbitri. Una “casta” ultrasuscettibile. Ne aveva parlato anche Ancelotti. Sull’argomento interviene sul Paìs Maria José Lopez Gonzalez.
Nel suo editoriale l’esperta di diritto scrive che “nella logica di Pasolini, il calcio si muove tra due alibi: quello degli affari e quello dei tifosi. Quest’ultima viene arringata per dare il via a ogni tipo di decisione, in nome di quello che Pasolini definiva il calcio dei puri”. Poi scende nel tecnico: “Nel nostro Paese il business del calcio muove i numeri del settore industriale con un contributo al Pil pari a circa l’1,44%. E’ un rapporto di lavoro speciale, con due contratti collettivi segregati per sesso. Inoltre, con la normativa sul lavoro soggetta al Regio Decreto 1006/1985, che regola il rapporto degli atleti professionisti. Un regio decreto scaduto e la cui modifica è stata ampiamente richiesta, soprattutto in relazione a questioni decisive come la libertà di espressione“.
Ed ecco il punto: i calciatori non hanno libertà di espressione sugli arbitri. “Ogni settimana vediamo che le critiche dei calciatori vengono solitamente sanzionate con un codice disciplinare che ha valore di semplice regolamento e che contravviene al nostro testo costituzionale. La Costituzione spagnola tutela soprattutto la libertà di espressione come diritto di ogni persona ad esprimersi. Dovremmo essere seriamente preoccupati nel vedere quanti professionisti del calcio non osano esprimere pubblicamente la loro opinione perché subirebbero immediatamente una punizione e lo riconoscono nelle loro dichiarazioni. Essenzialmente, ciò che fanno è esprimere una dichiarazione o un’opinione nell’ambito della loro attività lavorativa. Immaginate che qualunque lavoratore che dichiari di non gradire la decisione del padrone venga immediatamente sottoposto a procedimento disciplinare e infine sanzionato. Credo sinceramente che questo sistema non solo limiti la libertà di espressione ma nasconda anche un modo di agire che cerca di mantenere il proprio ordine, in modo che nessuno si esprima”.
L’editorialista richiama pure delle sentenze della Corte Costituzionale spagnola. E scrive: “nel calcio, parlare degli arbitri è commettere un atto di indisciplina, anche se lede la libertà di espressione del lavoratore calciatore? È semplicemente uno scandalo”. Peraltro spesso la punizione è una squalifica, quindi “una situazione di potere che, senza dubbio, limita l’esercizio dell’attività professionale”.
E inoltre “questa limitazione alla libertà di espressione è regolata da un codice disciplinare, senza alcuna partecipazione dei rappresentanti di questi lavoratori. Paradossalmente, al contrario, il business dei big data sembra cercare la vicinanza allo spettatore, motivo per cui è previsto che si sappia ciò che questi professionisti pensano e dicono nell’intimità degli spogliatoi. È ora di iniziare a cambiare alcuni codici e proteggere la libertà di espressione”.