Bigon: «Nel 1989 vincemmo sul Milan nell’intervallo. Solo chi era nello spogliatoio sa cosa è successo»

Alla Gazzetta: «Diego era il massimo. A Vicenza lo vidi palleggiare nel cortile dell'albergo. Ok, pensai, come allenatore hai già raggiunto il traguardo»

Alla Gazzetta: «Diego era il massimo. A Vicenza lo vidi palleggiare nel cortile dell'albergo. Ok, pensai, come allenatore hai già raggiunto il traguardo»

La Gazzetta dello Sport intervista Alberto Bigon, l’allenatore del Napoli del secondo scudetto. Gli chiedono se c’è un Napoli-Milan che ricorda più degli altri.

«Senza dubbio la nostra vittoria in casa nel 1989 (3-0), decisiva perché su quella costruimmo lo scudetto. Me la ricordo bene perché nei momenti topici succedono cose importanti, e tra primo e secondo tempo sappiamo solo noi che eravamo nello spogliatoio che cosa è successo. Posso solo dire che in quei 15 minuti abbiamo vinto la partita: lì posso dire di essere stato bravo e capace a convincere i ragazzi, ed è andata come doveva andare».

Su Milan e Napoli di oggi:

«Mi piacciono. Per quanto riguarda la squadra di Spalletti, bisognerebbe parlare di un Napoli con o senza Osimhen. La differenza la fa lui, fa giocare bene gli altri, li esalta con i suoi movimenti. Di là, Ibrahimovic al 100% è l’Osimhen del Milan. Ma devo dire che Pioli è proprio bravo: la sua squadra gioca bene anche dovendo cambiare tanti giocatori».

Su Diego:

«Appena arrivato a Vicenza in ritiro, con la squadra torniamo dall’allenamento e lo vedo palleggiare nel cortile dell’albergo: mi dico, okay, fai l’allenatore da qualche anno, con questo hai già visto il traguardo da tecnico. Diego era il massimo».

Ricorda la fatal Verona.

«Verona la conosco nel bene e nel male, perché una volta ci ho perso uno scudetto e un’altra me lo ha fatto vincere. Tra l’altro, quel tricolore lo avremmo vinto anche senza la monetina di Alemao, lo dice la matematica».

Gli chiedono: il calcio non si è dimenticato un po’ troppo in fretta di lei? Risponde:

«A dir la verità, ho fatto di tutto perché il calcio mi dimenticasse. A parte quando mio figlio Riccardo è entrato in questo mondo, a Reggio Calabria, poi a Napoli e ora a Bologna. Per questo sono rimasto vicino al calcio, in realtà solo per rimanere vicino a lui, che tra l’altro non ne ha bisogno. Ora non lo seguo neanche più tanto, perché questo Bologna mi fa un po’ soffrire».

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