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Snobbare Napoli-Villarreal significare snobbare la nostra storia

Snobbare Napoli-Villarreal significare snobbare la nostra storia

Stasera c’è Napoli-Villarreal. Che non è solo una partita ma è quasi diventata un’abitudine. Un appuntamento fisso che ogni tanto si ripresenta. Ed è sempre un bene: match affascinante, avversario affascinante, contesto sempre affascinante. L’unica cosa è che forse, stasera, sarà il San Paolo a non essere proprio così affascinante: dopo l’abbuffata da 55mila presenza col Milan, si parla di appena 30mila napoletani stasera a Fuorigrotta. Che peccato.

Quando stasera un arbitro straniero, Aytekin
, fischierà l’inizio di Napoli-Villarreal, qualcuno avrà fatto una scelta. Forse la stessa di quelli che hanno preferito il Milan al Submarino Amarillo: privilegiare, ancora e dopo aver scelto il divano di casa e non le poltroncine rosse del San Paolo, la corsa in campionato rispetto al cammino in Europa. Lo farà nell’atteggiamento verso la partita, del “non fa niente se usciamo” o del “pensiamo a Firenze che è più importante”. È una cosa latente, strisciante nel tifoso di tutte le squadre: la Champions prima del campionato o viceversa, l’Europa League come obiettivo stagionale fattibile insieme al terzo posto. Cose così, e che fortuna: c’è chi può scegliere tra tre competizioni su cui concentrarsi, c’è chi deve giocarne una e basta, magari pure con la consapevolezza di dover lottare per non retrocedere e basta. 

Io non biasimo nessuno e nessun atteggiamento. Però, secondo me, non è un caso che questa sera ci sia proprio Napoli-Villarreal. La sfida con gli spagnoli è la partita simbolo della mia generazione, è un ritornello per chi il Napoli in Europa non l’aveva mai visto. È la certezza che Napoli, oggi, occupa un posto nella mappa del calcio continentale. Ce l’ha detto la storia (recente), me l’ha detto pure la mia, di storia. Napoli-Villarreal si è già giocata in due occasioni, e tutte e due le volte è stato un punto di non ritorno. Uno start, una partenza verso l’alto. Anche per me.

La prima Napoli-Villarreal l’ho vista a Londra, in uno scantinato. Uno di quei ristorantini con il bancone da un lato e i tavoli dall’altro, in classico stile italo-inglese con le tovaglie a quadroni. Questo posto, scoperto per caso, organizzava nel suo buio sottoscala una succursale dello stadio di Fuorigrotta. In lingua, pure: per novanta minuti più recupero, l’idioma di Notting Hill venne sostituito da termini e soprattutto improperi tipici di Forcella. C’era tensione, da parte mia e di tutti i miei (vicinissimi) compagni, sedia a sedia e fianco a fianco. Il Villarreal è forte, hanno una squadra europea, sono abituati a fare le coppe. E poi Rossi e Nilmar, quello col mellone (Borja Valero) e quell’altro, Senna, che ha vinto l’Europeo con la Spagna pur essendo brasiliano, no al calcio moderno. Era una partita importante, la prima vera eliminatoria degli azzurri in una competizione europea. Napoli-Benfica, due anni e mezzo prima, aveva troppo il sapore di una comparsata fatta così, giusto per capire cosa si prova. Il Villarreal era una cosa diversa, più grossa, anche perché se loro erano forti lo eravamo diventati pure noi. Contro il Benifca, il Napoli di Reja era o poteva essere la sorpresa che ribalta i pronostici. Col Villarreal era da tripla, si poteva perdere o vincere. Un sedicesimo, come questa sera. Il Napoli ci arrivava come squadra novizia, ma poteva dire la sua. In Europa League. E io, finalmente, c’ero e lo vedevo. Da Londra, il mio primo viaggio con gli amici di una vita. Io seduto a terra vicino a loro, sotto di loro e sotto il televisore di un posto che all’intervallo ci diede panino e Coca-Cola. Mentre mangiavamo e parlavamo fuori, non potevo sapere che quello sarebbe stato il primo turno a eliminazione diretta di sei stagioni in Europa di fila. Non potevo saperlo perché non potevo nemmeno immaginarlo. Invece, è proprio così.

Qualche mese dopo, io e gli stessi amici facemmo la notte insieme per i biglietti di un altro Napoli-Villarreal. Champions League. Arrivammo alla ricevitoria all’una e mezza, e già erano arrivati al numero quaranta. I numeri per la fila del mattino successivo. Una follia. Curva A Superiore, ci riuscimmo. L’avvicinamento alla partita, iniziato parecchie ore dal calcio d’inizio con noi già sui seggiolini rossi, fu simile a quello di Londra: si stava stretti uguale. Poi l’ingresso in campo, la musichetta. Prima del famoso “The Champioooooons” che trovi su Youtube, già prima, noi piangevamo. Io piangevo. Lacrime grandi così. Mi ripresero con un cellulare, se cerco lo trovo ancora il video. Avevo visto il faccione di Totò Aronica inquadrato dalle telecamere durante la stessa musichetta prima di Manchester City-Napoli, ma dal vivo era un’altra cosa. Se sei cresciuto nel mito di Ronaldo, Raul, Beckham e Zidane, sentire quella musichetta a casa tua ti mette in subbuglio. Prima ti fa piangere, poi urlare. Il “The Champioooooons” che trovi su Youtube è una cosa provinciale quanto volete, al Camp Nou non la sentirete mai perché loro ci sono abituati. Ma nessuno sa davvero cos’è, al San Paolo. È la carica che nasce dalla gioia di esserci e dalla rabbia per non esserci mai stati. È gridare la nostra incredulità a ritrovarsi lì accanto a chi queste partite le gioca sempre, da una vita. È farci sentire perché ci siamo anche noi. 

Il Napoli vinse 2-0, e fu un altro punto di non ritorno. Perché non solo eravamo stati invitati – ci eravamo invitati da soli – al gran ballo, ma partecipavamo pure con un ruolo da protagonista. Da allora, da quella sera, io e il Napoli avemmo la certezza che non eravamo più degli imbucati. 
 
Stasera, di nuovo. Non è un caso che il sedicesimo di quest’anno sia proprio Napoli-Villarreal. Il Submarino non è il Real o il Manchester United, e anche questo secondo me significa qualcosa. Perché sono un po’ come noi anche loro, ex piccoli che da un po’ si stanno riscoprendo possibili grandi. Loro sono la nostra affermazione, noi siamo la loro. Lo sono stati, lo siamo stati. Succederà lo stesso anche questa sera, che Napoli-Villarreal può significare un altro punto di non ritorno: essere grandi e buttare a mare il sentimento latente che striscia e che ti dice che il campionato è meglio dell’Europa League, che risparmiarsi stasera in vista di Firenze è cosa saggia e buona e giusta, al di là delle rotazioni dei calciatori. È un nuovo step del’atteggiamento: l’Europa League e il campionato, insieme, di pari passo, come le grandissime squadre. Poi, vincere o perdere sono eventualità. Nel 2010/2011 pareggiammo e poi uscimmo, la stagione successiva passammo il turno. Può succedere qualsiasi cosa.

L’approccio, però, quello lo decidi tu. Il mio lo conosco già. Sarà un Napoli-Villarreal con la stessa importanza storica dei precedenti, per me. Perché siamo in corsa per lo scudetto e possiamo andare avani e dire la nostra pure in Europa League, fino alla fine. Napoli-Villarreal sarà un’altra tappa decisiva, nonostante la mia serata sarà un po’ meno epica rispetto ai due precedenti: davanti a un monitor con SkyGo e senza il vicino di sedia di Londra o di gradinata del San Paolo che spingono. Che peccato.

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