Sergio Rubini: “Da giovane detestavo il teatro, volevo fare il cantante rock”

L'attore e regista racconta al Corsera com'è cominciata la sua avventura e Roma: «La proprietaria, una anziana arcigna che ci aumentò la spesa della luce perché, ascoltando musica, diceva che consumavamo troppa corrente elettrica»

Sergio Rubini

Sergio Rubini fa un salto nel passato sul Corriere della Sera e racconta di quando dalla Puglia arrivò a Roma per la prima volta

Io, da provinciale, pensavo che il centro di Roma fosse la stazione, così con due amici mi ritrovai in via Marsala. La proprietaria era veneta, una ex ballerina di avanspettacolo, una anziana arcigna che ci aumentò la spesa della luce perché, ascoltando musica, diceva che consumavamo troppa corrente elettrica. Si inventò la tassa sul registratore. Aveva delle camere sfitte, in una stanza c’era un signore campano che aspettava una donna per sposarsi, in un’altra un vecchio figurante di Cinecittà. Mi sentivo solo, la proprietaria aveva un barboncino che prendevo per avere compagnia, fino a che me lo negò. Ho passato un anno così, a confondermi con la città e i suoi suoni, per somigliare agli altri».

L’attore e regista racconta di essersi trovato all’Accademia d’arte drammatica anche se lui voleva fare il musicista rock

«Detestavo la recitazione e il teatro. Mi tinsi anche i capelli color carota come David Bowie. Mi sembrava una cosa da vecchi parrucconi, che coincideva col mondo degli adulti».

La svolta dopo la sua prima volta sul palco al fianco del padre, ma fu Carmelo Bene ad aprirgli la mente

«Andavo a vedere gli spettacoli di Carmelo Bene e lì ho capito che bisogna pescare dal proprio passato e che dovevo fare scuola di dizione ma non perdere il mio background. In altre parole, grazie a Carmelo Bene ho capito che l’attore è anche autore. A vent’anni andai a lavorare con Andrea Camilleri»

Gli anni sono passati, è arrivato il successo, le grandi collaborazioni con Fellini e Mastroianni,ma il ricordo del passato vissuto al sud lascia un po’ di nostalgia

«In senso traslato, per la fanciullezza che mi riporta a un’età trascorsa lì. Come dice Proust, il passato è fatto di luoghi astratti, ciò che li distingue sono le persone con cui hai condiviso quei luoghi. Quando non esistono più quelle persone, non esistono quei luoghi».

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